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Altri meccanismi di derivazione

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Un meccanismo di derivazione poco comune in italiano ma presente in altre lingue è la retroformazione, per cui una parola si forma da un'altra seguendo un processo inverso rispetto a quello più comune, generalmente rimuovendo ciò che viene interpretato come un affisso: ad esempio in italiano è nato prima il verbo "accusare" (dal latino "accusare") dal quale è derivato per retroformazione il sostantivo "accusa" (che non esisteva con questa forma in latino), mentre in inglese è nato il verbo "to edit" da "editor".

Un meccanismo attivo sia nella derivazione, sia nella flessione e nella composizione, invece, è la reduplicazione, che consiste nel raddoppiamento sia di un semplice segmento, sia dell'intera parola: nelle antiche lingue indoeuropee questo processo era molto produttivo nella flessione dei verbi (come ad esempio nel greco "lelyka" = "sciolsi" dal presente "lyo" = sciolgo") e se ne trovano tracce anche in latino (si veda per esempio il paradigma del verbo "dare" = "do, das, dedi, datum, dare"). Un esempio di reduplicazione totale si trova nel maori "reoreo" = "conversazione" da "reo" = "voce", mentre un caso di reduplicazione parziale si ha nel turco "dopdolu" = "piuttosto pieno" da "dolu" = "pieno". Da notare come un verbo reduplicato assuma spesso un significato frequentativo, come nel sudanese "guguyon" da "guyon" = "fermentare ripetutamente".

Alcuni meccanismi di formazione, tra cui il prestito linguistico e l'origine etimologica, sono definiti derivativi pur non modificando sostanzialmente il significato della parola di origine ma cambiandone il contesto di utilizzo, ossia la lingua: ad esempio si usa dire che la parola italiana "padre" deriva dalla parola latina "patrem" o che la parola italiana "caffè" deriva dalla parola turca "qahve".

Regole di riaggiustamento

Un meccanismo presente sia nella composizione che nella derivazione è una sorta di "riaggiustamento" fonetico dovuta al giustapporsi di vocali nell'unione delle due forme: viene così cancellata la vocale del primo componente, per esempio in "vinaio" da "vino+aio", o simili.

Altre regole di questo tipo possono comprendere anche casi di inserimento, nel quale viene inserito, appunto, ulteriore materiale per rendere la nuova forma in qualche modo più "armoniosa" e più rispondente ai nessi fonetici della lingua in questione: così per esempio da "gas" abbiamo "gassoso" e da "cognac" "cognacchino", dove in entrambi i casi notiamo un raddoppiamento della consonante (nel secondo caso rafforzato dalla velarizzazione della c, che altrimenti dovrebbe palatalizzarsi davanti a i).

Dal latino al volgare

Quando l’Impero romano d’Occidente volgeva
al tramonto, il latino aveva ormai subito profondi
cambiamenti. Il latino scritto apparteneva
ormai al mondo della cultura e del potere: la massa
era costituita da analfabeti che conoscevano solo la lingua
con cui si esprimevano, il volgare; i pochi che sapevano
scrivere e che venivano dai rari centri culturali ancora
in funzione, in cui si perpetuava la tradizione classica,
erano bilingui, sapevano scrivere in un latino sufficientemente
corretto e parlavano in volgare. Questi erano
i “chierici”, un termine che oggi indica unicamente
un uomo di chiesa mentre allora aveva il duplice significato
di dotto laico o ecclesiastico.
Gli scritti in latino cercano di imitare, in campo letterario,
lo stile di un Cicerone, per citare uno dei massimi
esponenti della latinità, e, in campo amministrativo,
avevano assunto uno stile ridotto all’essenziale e ricco
di nuovi vocaboli mutuati da altre lingue.
Il latino parlato, invece, si era evoluto fino a distinguersi
in parlate diverse. Distinguiamo, pertanto:
• Il latino parlato in città, il sermo urbanus
• Il latino parlato in campagna, il sermo rusticus
• Il latino parlato nelle zone immediatamente a ridosso
delle frontiere dell’Impero.
Tra sermo urbanus e sermo rusticus le differenze che si
erano create, soprattutto a causa dell’isolamento degli
abitanti della campagna, erano tali per cui difficilmente
un contadino sarebbe riuscire a capire la lingua usata da
un cittadino. Nelle zone di frontiera, poi, a seconda delle
località, si parlava una lingua che era il risultato della
fusione tra il latino e dialetti barbari locali. Nascono così
le lingue romanze che costituiscono l’evoluzione del
latino. Queste lingue sono: l’italiano, il francese, lo spagnolo,
il romeno, il sardo e il ladino. Queste lingue, al
loro inizio, erano dette “volgari”, perché erano parlate
dal vulgus, dal popolo e accoglievano in sé termini ed
espressioni della vita quotidiana, del mondo dell’agricoltura,
dei commerci, del lavoro manuale.
Le principali trasformazioni dal latino
Possiamo riassumere in questo modo le più importanti
modifiche che il latino subisce nel passaggio al volgare:
Tutti i dittonghi ae, oe si trasformano in e. Poena diventa
pena ecc.
Il genere neutro scompare e si fonde con il maschile
Scompare il sistema delle desinenze che indicano un caso
e quindi vengono introdotti gli articoli e le preposizioni
articolate. In latino “del padre” veniva espresso col la
desinenza del genitivo, in volgare il termine padre rimane
inalterato e viene aggiunta la preposizione articolata
In latino le vocali si dividevano in lunghe e brevi, per
cui una medesima parola assumeva significati diversi, a
seconda della quantità di una vocale, mentre in volgare
conta solo la pronuncia, che può essere aperta (la o di
collo) o chiusa (la o di mostra).
Scompare la forma passiva come autonoma da quella
attiva e si afferma la forma verbale composta dal participio
e dal verbo essere o avere. Ad esempio, invece di
laudor, sono lodato. Nel futuro, invece della desinenza,
si usa l’infinito più il verbo avere. Invece di laudabo,
laudare habeo e poi loderò.
Le prime testimonianze
del passaggio dal latino al volgare.
Un momento fondamentale nella presa di coscienza collettiva
del tramonto del latino come lingua parlata e dell’affermazione
del volgare e costituito dal Concilio di
Tours che nell’813 stabilisce che “ogni vescovo tenga
omelie, contenenti le ammonizioni necessarie a istruire
i sottoposti circa la fede cattolica, secondo le loro capacità
di comprensione...E che si studi di tradurre comprensibilmente
le medesime omelie nella lingua romana
rustica affinché più facilmente tutti possano intendere
quel che viene detto”.
Le fonti in volgare, però, risalgono a molto prima del
Concilio di Tours: addirittura nel 350 d.Cr. troviamo
un’iscrizione cristiana in cui si scrive “mesis nobe” al
posto di “meses novem”.
Le principali fonti del passaggio dal latino al volgare sono
queste:
• la Carta Pisana del 730 d.C. in cui si dice “de uno latere
corre via pubblica”
il Documento Pisano del 746 d.C. in cui si trova l’espressione
“de uno latum decorre via publica”
• un’altra Carta Pisana dell’816 che riporta la frase
“avent in largo pertigas quatordice, in transverso de
uno capo pedes dece, de alio nove in traverso...”.
• il famoso indovinello veronese Se pareba boves – alba
pratalia araba – et albo versorio teneba – et negro semen
seminaba (Spingeva avanti i buoi, arava un campo
bianco, teneva un bianco aratro, e seminava nero
seme). I buoi sono le dita, il campo bianco è il foglio
di carta, il bianco aratro e la penna d’oca e il nero seme
è l’inchiostro: la soluzione dell’indovinello, quindi,
è la scrittura. Il testo rivela ancora la presenza di
parole latine quali, ad esempio, semen o la congiunzione
et, ma sono presenti parole dal volgare quali
versorio che è un vocabolo tipico del dialetto veneto.
La Carta Capuana del 960 d.C. riporta una dichiarazione
di un testimone in una causa per una questione di diritto
di proprietà tra il monastero di Montecassino, rappresentato
dal proprio abate, e un tale Rodelgrimo d’Aquino.
Il testimone si esprime così: Sao ko kelle terre,
per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte
Sancti Benedicti (So che quelle terre, per quei confini
che qui sono descritti, le possedette per trent’anni la
parte di S. Benedetto).
Ma forse il documento più interessante è il Giuramento
di Strasburgo dell’842 d.C. I figli di Carlo Magno,
Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, successori al
trono delle due parti dell’impero Occidentale e Orientale,
si promettono reciproca solidarietà contro il fratello
Lotario e giurano nelle rispettive lingue volgari. Lo
storico contemporaneo Nitardo nella sua opera Historiae
racconta che, dopo aver giurato ciascuno nella propria
lingua, i condottieri giurarono ognuno nella lingua
dell’altro per impegnarsi solennemente davanti a tutti e
due gli eserciti.
Ludovico, in quanto maggiore d’età, per primo giurò
osservanza al patto, in questi termini:
Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament,
d’ist di in avant, in quant Deus savir et podir me
dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et
in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift,
in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam
prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno
sit. (Per l’amore di Dio e per il popolo cristiano e la nostra
salvezza comune, a partire da oggi, fino a quando
Dio mi darà sapienza e potere, io soccorrerò questo mio
fratello Carlo con il mio aiuto e in ogni circostanza, come
si deve soccorrere il proprio fratello, secondo giustizia, a
condizione che egli faccia la stessa cosa con me e io non
farò mai con Lotario alcun patto che, per mia volontà,
possa essere di danno a mio fratello Carlo).
Quando Ludovico ebbe terminato, Carlo ripeté alla lettera
il medesimo giuramento in lingua tedesca, in questi
termini: In Godes minna ind in thes christianes folches
ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage
frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit,
so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu
sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi
mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan
willon, imo ce scadhen werdhen.
Il giuramento che poi prestò il popolo dell’uno e dell’altro,
ciascuno nella propria lingua, in lingua romanica
suona così: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo
jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non
l’ostanit, si io returnar non l’int pois, ne io ne neuls cui
eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig
nun li iu er.
E in lingua tedesca: Oba Karl then eid then er sinemo
bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig,
min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es
irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es
irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdhit.
[Se Ludovico (o Carlo) mantiene fede alla parola che
giura a suo fratello Carlo e Carlo (o Ludovico), il mio signore,
da parte sua non la mantiene, se io non si potrà
distoglierlo da ciò, né io né quelli che potrebbero distoglierlo,
noi non gli saremo di alcun aiuto contro Ludovico
(o Carlo)].
Il documento è importante perché testimonia l’importanza
che avevano assunto i volgari francese e tedesco:
il giuramento, infatti non viene pronunciato in latino e
questo testimonia come il volgare si identificasse ormai
completamente con la nazione, tanto da diventare anche
la lingua ufficiale del potere politico e militare.

Література. Проза. Поезія

La prosa è una forma di espressione linguistica non sottomessa alle regole della versificazione. Il concetto di prosa va considerato in opposizione a quello di poesia: esso infatti indica una struttura che non presenta "l'andare a capo" del verso (regolato da norme metriche, esigenze ritmiche, volontà di espressione), ma procede diritta, completando il rigo ed usando "l'andare a capo" solo per indicare una separazione non metrico-ritmica ma concettuale, tra sequenze non obbligate da vincoli formali.

 

Con il termine prosa ci si riferisce abitualmente anche ad un genere teatrale.

 

Le funzioni della prosa colta sono molteplici:

Narrativa

Storiografia

Didattico-scientifica

Saggistico-critica

Oratoria

Epistola

Drammatica

Nonostante questa ricchezza di possibili forme, la prosa fu per lungo tempo lasciata a sperimentazione tutto sommato libera. Nella cultura latina la prosa non era legata a generi narrativi ma all'oratoria, che ne costituisce il sommo modello. Marco Tullio Cicerone nell'Orator distingue tre livelli di stile: basso, medio ed elevato, ed approfondisce i caratteri musicali della prosa stabilendo regole che riguardano la disposizione dei membri della frase, il ritmo e soprattutto la clausola del periodo, ovvero la sua parte finale, disposta secondo misure metriche analogiche a quella della poesia.

 

 

La civiltà rinascimentale ripropone una gamma più ampia di generi in prosa: la poetica del classicismo tende a presentare modelli da imitare nei diversi generi letterali. L'inversione di tendenza si ha nel seicento barocco che sottrae i suoi spettacolari artifici all'uso dell'imitazione. Nel 1700 la prosa diventa importante strumento per la divulgazione e per la polemica narrativa, filosofica, satirica, ma è con il 1800 che la distinzione tra prosa e poesia si approfondisce creando la distinzione tra la prosa di funzione teorico-narrativa e la poesia di funzione lirica, a questa distinzione si fa riferimento per la comprensione del dominio della prosa nel naturalismo.

 

La poesia è una forma d'arte che crea, con la scelta e l'accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. La poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere concetti e stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa, dove le parole non sottostanno alla metrica.

 

Siccome la lingua nella poesia ha una doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l'ortografia possono subire variazioni se questo è utile ai fini della comunicazione sia particolare sia complessiva.

A questi due aspetti della poesia si aggiunge un terzo quando una poesia, anziché essere letta direttamente, viene ascoltata: con il proprio linguaggio del corpo e il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo la dimensione teatrale della dizione e della recitazione. Nel mondo antico e in altre culture anche odierne poesia e musica sono spesso unite, come accade anche nei Kunstlieder tedeschi, poesie d'autore sotto forma di canzone di musiche d'autore.

 

Queste strette commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una poesia in lingue diverse dall'originale, perché il suono e il ritmo originali vanno

14. Nel 11-12 (XI-XII) secolo fu un rapido sviluppo delle città del nord Italia Alla fine del 13(XIII)secolo Firenze si distingue tra le altre città Italiane ed è il centro culturale ed economico. Questa è stata la causa del rafforzamento del dialetto fiorentino, che a quel tempo era il dialetto più comune del nord Italia. Il rafforzamento del ruolo del dialetto fiorentino come base della lingua letteraria contribuito ai lavori del grande poeta italiano Dante Alighieri (1265-1321). seguaci famosi Dante - Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375) affermato dialetto autorità fiorentina come base della lingua letteraria del paese.



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