Історичні умови виникнення італійської мови 


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Історичні умови виникнення італійської мови



Історичні умови виникнення італійської мови

Bruno Migliorini (1896-1975), l'autore di "Storia della lingua italiana ", fu il fondatore di questa disciplina accademica.

La lingua italiana fa parte del gruppo romanzo, che in Italia e in Spagna si chiama anche il gruppo delle lingue neolatine, perché provengono dal Latino.

È la lingua ufficiale della Repubblica Italiana, Vaticano (insieme al Latino), Repubblica di San Marino, Svizzera (insieme al Tedesco, Francese). L'Italiano è diffuso anche negli Stati Uniti, Germania, Argentina, Francia, Belgio, Etiopia, Somalia, Libia, Malta.-

I dialetti italiani formano i gruppi: settentrionale (Piemontese, Ligure, Lombardo, Emiliano, Veneziano), centrale (Toscano, Umbro, Romano, Corso), meridionale (Napoletano, Abruzzese, Pugliese, Calabrese, Siciliano). Esistono più di 100 parlate. Le cadenze sono molto diverse anche all'interno dello stesso gruppo. L’Italiano è il più vicino al Latino fra le altre lingue romanze.

Nei tempi antichi la lingua latina fu parlata dei cittadini romani. Il latino fu portato nelle terre conquistate dai soldati di Roma e fu assimilato con le lingue locali. Nel corso del tempo fra le varie modifiche il latino piu pulito si trovava in Africa,dove lo portarono i rappresentanti del potere di Roma, che lasciarono la patria molti anni prima ed, essendo ne fuori, non erano soggetti di processi di trasformazione linguistica a Roma.

Dopo la caduta dell”Impero Romano sorse una differenza tra II latino letterario ed il latino parlato, chiamato anche “volgare* Il latino si usava per scrivere le opere teologiche e filosofiche, le leggi ed i commenti al codice, le cronache, i trattati, di medicina e di astronomia Ma insieme al latino si sviluppava anche il volgare.

Il volgare si sviluppava nelle opere di poesia delle scuole siciliana e poi toscana. Dal 1200 maggior prestigio lo accquistò il toscano, essendo II più slmile al Ialino, fu messo alla base della lingua letteraria, sulla quale lavoravano Dante e poi Petrarca. Boccaccio e tanti altri scrittori c poeti. La formazione della lingua Italiana fu dovuta al Toscano e anche alle frasi e alle parole, provenienti da vari regioni.

Dante scrisse la sua 'Divina Commedia' dove dimostrò il funzionamento della lingua Italiana, ma la prima lingua nella quale la sua opera fu tradotta fu il latino.

Una grande importanza per lo sviluppo della lingua italiana ebbe l'attività dell'Accademia Crusca, (fondata a Firenze nel 1583, la quale pubblicò il primo dizionario della lingua italiana nel 1612.

Le opere di Alessandro Manzoni (1785 - 1873), uno scrittore e politico italiano, favorirono tanto ulteriore sviluppo della lingua Italiana. Manzoni trovò la via di usata dal labirinto dei problemi linguistici e sociali, chiamati la "Questione della lingua* Nella sua opera immortale *I promessi sposi* Alessandro Manzoni usa una lingua comprensibile a tutti gli italiani. Secondo Manzoni, la fonte ddla lingua letteraria deve essere il linguaggio degli stati culturali fiorentini.

2. Le lingue romanze, lingue latine o lingue neolatine[2] sono le lingue derivate dal latino. Sono parlate nel mondo come primo idioma da oltre un miliardo di persone, numero che arriva al miliardo e mezzo di individui (oltre un sesto dell'umanità) considerando anche i loro parlanti come seconda o altra lingua. Esse sono l'evoluzione diretta non del latino classico ma dellatino volgare a seguito dell'espansione dell'impero romano.

Tali varietà linguistiche vennero inizialmente definite come volgare, ossia popolare nel senso etimologico del termine (da vulgus, "popolo" in latino). La parola volgare non va dunque intesa come dispregiativa, ma semplicemente come riferimento alla lingua vernacolare, quella cioè impiegata - nella sua forma prevalentemente orale - nella vita quotidiana, in distinzione rispetto a quella della tradizione letteraria e ufficiale dello stato romano.

Il termine “romanzo” deriva dall'avverbio latino Romanice riferito al parlare vernacolo (romanice loqui) rispetto al parlare in latino(latine loqui). Da Romanice deriva la forma francese romanz, da cui l'italiano romanzo. Tali parlate formano quello che in dialettologia viene chiamato continuum romanzo.

L'area in cui si sono sviluppate - e sono ancora parlate nelle loro versioni contemporanee - viene chiamata Romània e corrisponde alla parte europea occidentale dell'impero romano, esclusa la Britannia, con l'aggiunta di altre isole linguistiche neolatine minori diffuse nei Balcani (lingue romanze balcaniche).

Nel Nordafrica l'invasione araba (VIII secolo) ha cancellato ogni volgare latino che vi si era sviluppato, mentre la persistenza dell'impero nella sua porzione orientale, con l'impiego prevalente della lingua greca a livello ufficiale, ha impedito la diffusione popolare del latino, prevenendo sviluppi linguistici analoghi a quelli occorsi nella porzione occidentale.

I latini volgari, come del resto il latino classico e le lingue romanze, vengono classificati nelle ramificazioni delle lingue italiche, nell'albero delle lingue indoeuropee.

 

Фонетична та граматична будова італійської мови

La fonetica è la scienza che studia i suoni del linguaggio. Bisogna distinguere tra foni e fonemi. I foni sono costituiti da qualsiasi suono previsto dall'inventario di una certa lingua, mentre i fonemi sono qui foni che si presentano dentro un contesto di significato, e in opposizione a tutti gli altri fonemi darebbero un senso diverso o un non senso. Per esempio in italiana abbiamo un solo fonema ma diversi foni corrispondenti, la n della parola angolo è diversa dalla n della parola andare. Eppure a questa distinzione non ci si pensa, perché non ha importanza linguistica, nel senso che se scambiamo le due n il significato rimane inalterato, anche se avremmo una pronuncia un po' eccentrica.

 

In altre lingue invece la distinzione serve a individuare parole ben distinte, come in inglese le n di sing, canzone e sin, peccato. La scelta così di quale n usare in italiano in angolo e andare non è libera, ma condizionata dal contesto fonico. In altri casi invece la scelta può essere libera: per esempio immaginiamo quattro fonemi, una consonante più are, se selezioniamo liberamente consonanti diverse avremo parole diverse, bare, care, dare, fare, mare, rare, oppure parole non esistenti o esistenti nei dialetti, come lare, zare, vare. In questi casi è in gioco la comunicazione stessa: se un parlante pronunciasse andare con la n di angolo non si autocorregerebbe, ma se pronunciasse bare amiche sono contento di vedervi, allora dovrebbe subito correggersi.

Dunque la verifica sulla fonematicità di un suono è la prova della sostituibilità: le coppie di parole che si distinguono per la presenza di un solo fonema diverso (bare care) si dicono coppie minime o unidivergenti. Può solo cambiare il rendimento funzionale, ovvero il numero di parole ottenute dalla sostituzione dei due fonemi. Per esempio uno dei fonemi più funzionali è d-f: dare-fare, data-fata, dune-fune, drenare-frenare. Invece contrapponendo la esse sorda di scala con la esse sonora di sveglia, nei contesti in cui la scelta non è condizionata, cioè in posizione intervocalica, il rendimento funzionale è bassissimo, e per giunta limitato al solo uso toscano, dove si distinguono fuso-fuso.

Luogo di articolazione

Dal punto di vista del luogo di articolazione si distinguono principalmente:

· bilabiali

· labiodentali

· dentali

· alveolari e postalveolari

· palatali

· velari

· retroflesse o cacuminali

 

· uvulari

· faringali

· glottidali

 

Sonorità

Una terza importante distinzione è inoltre quella tra consonanti sonore e sorde, a seconda che le corde vocali si attivino (vibrino) o meno al passaggio dell'aria, influenzando l'entità della risonanza.

Quindi per ogni modo (principalmente occlusivo, fricativo e affricato) e luogo di articolazione ci sarà una consonante sorda e una consonante sonora: per esempio, si ha una consonante occlusiva bilabiale sorda [p] e sonora [b], una fricativa palatale sorda [ç] e sonora [ʝ], una affricata alveolare sorda [t͡s] e sonora [d͡z]. Per i modi di articolazione nasale, vibrante, approssimante e laterale si può parlare meglio di desonorizzazione data la principale natura sonora di queste consonanti, fenomeno che si segnala con il simbolo [ ̥ ].

10. L'ortografia della lingua italiana è l'insieme delle convenzioni che governano la scrittura della lingua italiana per quanto riguarda i grafemi (le lettere con cui si scrivono le parole) e isegni paragrafematici (accenti grafici, apostrofi, uso della maiuscola e divisione delle parole). L'ortografia italiana prosegue molte scelte del sistema di scrittura volgare sviluppato a Firenze e in Toscana alla fine del Duecento e durante il Trecento. Questo è particolarmente evidente nella scelta delle lettere dell'alfabeto base e nella scelta dei digrammi. Per esempio, l'ortografia italiana continua la scelta del sistema fiorentino di evitare alcune lettere, come la ⟨k⟩ e la ⟨x⟩, ben vive nell'uso medievale e frequentemente impiegate, fino a oggi, nella scrittura di molti volgari prima e dialetti poi.

Il sistema attuale risale comunque, "nelle sue linee portanti, al Cinquecento e alle scelte che in quel secolo furono fatte dai grammatici, dai lessicografi, dai tipografi e in genere dai letterati"[3]. Particolarmente importante in questo periodo è stata la scelta di un'impostazione fonetica, molto diversa dall'impostazione etimologizzante che era stata di moda nel Quattrocento.

Nel corso del tempo, anche se l'assetto è rimasto stabile, alcune regole sono state modificate. Per esempio, l'uso di scrivere le preposizioni articolate come parole uniche si è affermato invece alla fine del Cinquecento (quando della ha cominciato a sostituire de la). A inizio Novecento era molto diffuso l'uso dell'accento grafico per distinguere alcune forme del verbo avere che oggi invece sono distinte con l'uso della h diacritica: la norma accettava quindi à, ànno al posto delle attuali ha e hanno. Altre modifiche sono ancora più recenti: per esempio, la grafia sopralluogo (al posto di sopraluogo) si è stabilizzata solo negli anni sessanta.

Pronuncia è il termine correntemente usato, anche dai non specialisti, per designare il modo di articolare i suoni di una lingua (si parla infatti di pronuncia della erre, di difetto di pronuncia, ecc.) e l’insieme delle caratteristiche fonetiche peculiari di una lingua (per es., pronuncia del tedesco, pronuncia meridionale, ecc.).

La nozione di pronuncia si definisce da un lato in opposizione a quella di scrittura (➔ alfabeto; ➔ grafia; ➔ ortografia), dall’altro a quella di rappresentazione fonologica (➔ fonologia): ma, rispetto alla scrittura, la pronuncia è meno stabile e più mutevole; rispetto alla fonologia di una lingua, ha carattere più variabile e per certi versi anche individuale, comunque meno codificato.

Designando genericamente il modo di parlare, la dizione, l’accento (si parla allora, ad es., di pronuncia chiara, trascurata, nasale), il concetto di pronuncia può racchiudere anche aspetti di tipo più schiettamente prosodico, denominati accento, cadenza, calata, cantilena. Si capisce pertanto come esso, pur essendo di dominio pubblico, non sia facilmente delimitabile in termini rigorosi.

Il sistema grafico dell’italiano è di tipo fonetico: rispetto a lingue come il francese e l’inglese, le differenze tra grafia e pronuncia sono piuttosto limitate (➔ lingue romanze e italiano). Si vedano le tabelle seguenti, che riportano i ➔ grafemi dell’italiano e la corrispondente realizzazione fonologica: sono pochi i fonemi omografi (tab. 1) e ugualmente pochi quelli eterografi, ovvero rappresentati con diversi grafemi o combinazioni di grafemi (tab. 2).

La ➔ grafia dell’italiano può essere fatta risalire, nei suoi aspetti principali, al Cinquecento: l’indirizzo fonetico impresso dai letterati «rappresentò, dopo la moda etimologizzante di stampo umanistico che si era imposta nel secolo precedente, una coraggiosa innovazione» (Maraschio 1993: 139). Tuttavia, fuori di Toscana, la pronuncia dell’italiano è diventata quasi ovunque una spelling pronunciation (Mioni 1982: 497; Berruto 1987: 97), ovvero una pronuncia basata essenzialmente sulla grafia (come, ad es., la pronuncia cami [ʧje] di camicie), con un ribaltamento per certi versi paradossale:

mentre [nel Cinquecento] sulla base del modello fonologico fiorentino è stato costruito un sistema grafico abbastanza coerente, oggi invece si tende a normalizzare sulla grafia una pronuncia nazionale ancora assai differenziata regionalmente (Maraschio 1993: 141)

Основні типи словотворення.

La derivazione in linguistica è il processo per cui una nuova parola si forma a partire da un'altra parola mediante un meccanismo di formazione che ne cambia il significato; il meccanismo di derivazione più comune è l'aggiunta di un affisso.

Una parola ottenuta per derivazione si definisce "derivata".

Meccanismi di derivazione

Affissazione

La derivazione per affissazione raggruppa diversi processi a seconda del tipo di affisso che viene aggiunto alla parola di base:

La prefissazione aggiunge l'affisso all'inizio della parola, cioè un prefisso (ad esempio "pregiudizio" da "giudizio"); in questo caso la categoria grammaticale della parola rimane la stessa (cioè da un sostantivo si crea un altro sostantivo, ecc).

La suffissazione aggiunge l'affisso alla fine della parola, cioè un suffisso, che può essere:

un suffisso nominale, che genera un nome (ad esempio "tristezza" da "triste");

un suffisso aggettivale, che genera un aggettivo (ad esempio "normale" da "norma");

un suffisso verbale, che genera un verbo (ad esempio "profetizzare" da "profeta");

un suffisso avverbiale, che genera un avverbio (ad esempio "perfettamente" da "perfetto");

anche in questo caso la categoria grammaticale può rimanere la stessa, ma può anche variare come abbiamo appena visto: si parla allora di transcategorizzazione.

L'infissazione aggiunge l'affisso in mezzo alla parola, cioè un infisso; in italiano questo meccanismo di derivazione è praticamente limitato all'ambito della nomenclatura chimica IUPAC: esistono due infissi derivazionali -pe- (significa "idrogenazione completa" e fa derivare ad esempio "pipecolina" da "picolina") e -et- (significa "etile" e fa derivare ad esempio "fenetidina" da "fenidina"), oppure in una parola come cant-icchi-are.

A volte la derivazione può avvenire per affissazione di un lemma o una parola proveniente da un'altra lingua, come ad esempio la parola italiana "scannerizzare" che deriva dalla parola inglese "scanner". Questo meccanismo è analogo al processo di prestito linguistico, per il quale il lemma straniero viene invece acquisito, spesso senza essere modificato come ad esempio sport.

Conversione

Nel caso in cui un lessema venga trascategorizzato (cioè finisca per appartenere ad una diversa categoria grammaticale rispetto a quella originaria) senza però cambiare la propria forma, si parla di " conversione " (o anche "derivazione zero" e "suffissazione zero").

Nel caso in cui l'affisso aggiunto alla parola coincida con la desinenza, alcuni linguisti parlano anche di "derivazione diretta" (rientrerebbe dunque in questo caso la derivazione registrare da registro)

La conversione è tipica delle lingue isolanti: in inglese, ad esempio, water è verbo ("innaffiare") o sostantivo ("acqua") a seconda del contesto. Minoritario è il ruolo della conversione nelle lingue fusive (come l'italiano).

Esempi di conversione in lingua italiana sono:

l'infinito di un verbo, a cui viene aggiungo l'articolo e che potrà anche essere messo al plurale (il mangiare, i poteri), o che potrà subire alterazione (esserino);

un aggettivo usato come sostantivo (metropolitana, cellulare, vecchio);

un participio presente usato come sostantivo (cantante, assistente);

un participio passato usato come sostantivo (coperto);

un gerundio (crescendo).

Allo stesso modo si può formare un nuovo aggettivo da un verbo:

al participio presente: sorridente da sorridere;

al participio passato: deciso da decidere.

Alcuni linguisti inoltre considerano meccanismi di derivazione anche le operazioni semantiche che cambiano il significato di una parola senza cambiarne la forma, come ad esempio la lessicalizzazione, definendole a volte derivazione nulla.

Parasintesi

Si parla di "derivati parasintetici" o "parasintesi" quando una parola viene generata applicando più affissi derivativi: ad esempio, in-scatola-mento deriva da scatola tramite l'aggiunta di un prefisso e di un suffisso. Questo processo può essere anche verbale o aggettivale: in ogni caso, la nuova forma è composta dalla parola base unita a un prefisso e a un suffisso, ma laddove non esista una parola derivata ottenuta applicando uno solamente dei due affissi, cioè la sequenza prefisso+base o base+suffisso: non esistono né *in-scatola né *scatola-mento.

Esempi di parasintesi verbale sono ingiallire da giallo e abbottonare da bottone; esempi di parasintesi aggettivale, invece, sono le parole svitato da vite, sfegatato da fegato. Si tratta di un processo molto produttivo: si può anzi dire che sia una delle forme più frequenti per la formazione di nuovi verbi.

Sebbene gli esempi che abbiamo dato siano tratti dall'italiano, il processo è molto produttivo anche nelle altre lingue romanze (ad esempio abbiamo il francese agrandir da grand, "ingrandire", o lo spagnolo alargar, cioè "allungare"), e se ne trovano numerosi esempi anche nelle lingue germaniche (per esempio in inglese enlighten da light, "illuminare", in olandese verarmen da arm, "impoverire", in tedesco bereichern da reich, "arricchire"). In generale, il fenomeno è particolarmente attivo nelle lingue indoeuropee.

Agglutinazione

Tutte le lingue usano i processi derivativi per arricchire il proprio lessico, ma un caso a parte sono le lingue agglutinanti che usano questo meccanismo come base della comunicazione linguistica: nelle lingue agglutinanti, infatti, le parole (o morfemi) sono inizialmente costituite dalla sola radice, a cui vengono aggiunti gli affissi per esprimere le diverse categorie grammaticali e aggiungere le informazioni relative a genere, numero, caso, oppure tempo, diatesi, persona, ecc.

Regole di riaggiustamento

Un meccanismo presente sia nella composizione che nella derivazione è una sorta di "riaggiustamento" fonetico dovuta al giustapporsi di vocali nell'unione delle due forme: viene così cancellata la vocale del primo componente, per esempio in "vinaio" da "vino+aio", o simili.

Altre regole di questo tipo possono comprendere anche casi di inserimento, nel quale viene inserito, appunto, ulteriore materiale per rendere la nuova forma in qualche modo più "armoniosa" e più rispondente ai nessi fonetici della lingua in questione: così per esempio da "gas" abbiamo "gassoso" e da "cognac" "cognacchino", dove in entrambi i casi notiamo un raddoppiamento della consonante (nel secondo caso rafforzato dalla velarizzazione della c, che altrimenti dovrebbe palatalizzarsi davanti a i).

Dal latino al volgare

Quando l’Impero romano d’Occidente volgeva
al tramonto, il latino aveva ormai subito profondi
cambiamenti. Il latino scritto apparteneva
ormai al mondo della cultura e del potere: la massa
era costituita da analfabeti che conoscevano solo la lingua
con cui si esprimevano, il volgare; i pochi che sapevano
scrivere e che venivano dai rari centri culturali ancora
in funzione, in cui si perpetuava la tradizione classica,
erano bilingui, sapevano scrivere in un latino sufficientemente
corretto e parlavano in volgare. Questi erano
i “chierici”, un termine che oggi indica unicamente
un uomo di chiesa mentre allora aveva il duplice significato
di dotto laico o ecclesiastico.
Gli scritti in latino cercano di imitare, in campo letterario,
lo stile di un Cicerone, per citare uno dei massimi
esponenti della latinità, e, in campo amministrativo,
avevano assunto uno stile ridotto all’essenziale e ricco
di nuovi vocaboli mutuati da altre lingue.
Il latino parlato, invece, si era evoluto fino a distinguersi
in parlate diverse. Distinguiamo, pertanto:
• Il latino parlato in città, il sermo urbanus
• Il latino parlato in campagna, il sermo rusticus
• Il latino parlato nelle zone immediatamente a ridosso
delle frontiere dell’Impero.
Tra sermo urbanus e sermo rusticus le differenze che si
erano create, soprattutto a causa dell’isolamento degli
abitanti della campagna, erano tali per cui difficilmente
un contadino sarebbe riuscire a capire la lingua usata da
un cittadino. Nelle zone di frontiera, poi, a seconda delle
località, si parlava una lingua che era il risultato della
fusione tra il latino e dialetti barbari locali. Nascono così
le lingue romanze che costituiscono l’evoluzione del
latino. Queste lingue sono: l’italiano, il francese, lo spagnolo,
il romeno, il sardo e il ladino. Queste lingue, al
loro inizio, erano dette “volgari”, perché erano parlate
dal vulgus, dal popolo e accoglievano in sé termini ed
espressioni della vita quotidiana, del mondo dell’agricoltura,
dei commerci, del lavoro manuale.
Le principali trasformazioni dal latino
Possiamo riassumere in questo modo le più importanti
modifiche che il latino subisce nel passaggio al volgare:
Tutti i dittonghi ae, oe si trasformano in e. Poena diventa
pena ecc.
Il genere neutro scompare e si fonde con il maschile
Scompare il sistema delle desinenze che indicano un caso
e quindi vengono introdotti gli articoli e le preposizioni
articolate. In latino “del padre” veniva espresso col la
desinenza del genitivo, in volgare il termine padre rimane
inalterato e viene aggiunta la preposizione articolata
In latino le vocali si dividevano in lunghe e brevi, per
cui una medesima parola assumeva significati diversi, a
seconda della quantità di una vocale, mentre in volgare
conta solo la pronuncia, che può essere aperta (la o di
collo) o chiusa (la o di mostra).
Scompare la forma passiva come autonoma da quella
attiva e si afferma la forma verbale composta dal participio
e dal verbo essere o avere. Ad esempio, invece di
laudor, sono lodato. Nel futuro, invece della desinenza,
si usa l’infinito più il verbo avere. Invece di laudabo,
laudare habeo e poi loderò.
Le prime testimonianze
del passaggio dal latino al volgare.
Un momento fondamentale nella presa di coscienza collettiva
del tramonto del latino come lingua parlata e dell’affermazione
del volgare e costituito dal Concilio di
Tours che nell’813 stabilisce che “ogni vescovo tenga
omelie, contenenti le ammonizioni necessarie a istruire
i sottoposti circa la fede cattolica, secondo le loro capacità
di comprensione...E che si studi di tradurre comprensibilmente
le medesime omelie nella lingua romana
rustica affinché più facilmente tutti possano intendere
quel che viene detto”.
Le fonti in volgare, però, risalgono a molto prima del
Concilio di Tours: addirittura nel 350 d.Cr. troviamo
un’iscrizione cristiana in cui si scrive “mesis nobe” al
posto di “meses novem”.
Le principali fonti del passaggio dal latino al volgare sono
queste:
• la Carta Pisana del 730 d.C. in cui si dice “de uno latere
corre via pubblica”
il Documento Pisano del 746 d.C. in cui si trova l’espressione
“de uno latum decorre via publica”
• un’altra Carta Pisana dell’816 che riporta la frase
“avent in largo pertigas quatordice, in transverso de
uno capo pedes dece, de alio nove in traverso...”.
• il famoso indovinello veronese Se pareba boves – alba
pratalia araba – et albo versorio teneba – et negro semen
seminaba (Spingeva avanti i buoi, arava un campo
bianco, teneva un bianco aratro, e seminava nero
seme). I buoi sono le dita, il campo bianco è il foglio
di carta, il bianco aratro e la penna d’oca e il nero seme
è l’inchiostro: la soluzione dell’indovinello, quindi,
è la scrittura. Il testo rivela ancora la presenza di
parole latine quali, ad esempio, semen o la congiunzione
et, ma sono presenti parole dal volgare quali
versorio che è un vocabolo tipico del dialetto veneto.
La Carta Capuana del 960 d.C. riporta una dichiarazione
di un testimone in una causa per una questione di diritto
di proprietà tra il monastero di Montecassino, rappresentato
dal proprio abate, e un tale Rodelgrimo d’Aquino.
Il testimone si esprime così: Sao ko kelle terre,
per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte
Sancti Benedicti (So che quelle terre, per quei confini
che qui sono descritti, le possedette per trent’anni la
parte di S. Benedetto).
Ma forse il documento più interessante è il Giuramento
di Strasburgo dell’842 d.C. I figli di Carlo Magno,
Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, successori al
trono delle due parti dell’impero Occidentale e Orientale,
si promettono reciproca solidarietà contro il fratello
Lotario e giurano nelle rispettive lingue volgari. Lo
storico contemporaneo Nitardo nella sua opera Historiae
racconta che, dopo aver giurato ciascuno nella propria
lingua, i condottieri giurarono ognuno nella lingua
dell’altro per impegnarsi solennemente davanti a tutti e
due gli eserciti.
Ludovico, in quanto maggiore d’età, per primo giurò
osservanza al patto, in questi termini:
Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament,
d’ist di in avant, in quant Deus savir et podir me
dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et
in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift,
in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam
prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno
sit. (Per l’amore di Dio e per il popolo cristiano e la nostra
salvezza comune, a partire da oggi, fino a quando
Dio mi darà sapienza e potere, io soccorrerò questo mio
fratello Carlo con il mio aiuto e in ogni circostanza, come
si deve soccorrere il proprio fratello, secondo giustizia, a
condizione che egli faccia la stessa cosa con me e io non
farò mai con Lotario alcun patto che, per mia volontà,
possa essere di danno a mio fratello Carlo).
Quando Ludovico ebbe terminato, Carlo ripeté alla lettera
il medesimo giuramento in lingua tedesca, in questi
termini: In Godes minna ind in thes christianes folches
ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage
frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit,
so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu
sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi
mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan
willon, imo ce scadhen werdhen.
Il giuramento che poi prestò il popolo dell’uno e dell’altro,
ciascuno nella propria lingua, in lingua romanica
suona così: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo
jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non
l’ostanit, si io returnar non l’int pois, ne io ne neuls cui
eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig
nun li iu er.
E in lingua tedesca: Oba Karl then eid then er sinemo
bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig,
min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es
irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es
irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdhit.
[Se Ludovico (o Carlo) mantiene fede alla parola che
giura a suo fratello Carlo e Carlo (o Ludovico), il mio signore,
da parte sua non la mantiene, se io non si potrà
distoglierlo da ciò, né io né quelli che potrebbero distoglierlo,
noi non gli saremo di alcun aiuto contro Ludovico
(o Carlo)].
Il documento è importante perché testimonia l’importanza
che avevano assunto i volgari francese e tedesco:
il giuramento, infatti non viene pronunciato in latino e
questo testimonia come il volgare si identificasse ormai
completamente con la nazione, tanto da diventare anche
la lingua ufficiale del potere politico e militare.

Література. Проза. Поезія

La prosa è una forma di espressione linguistica non sottomessa alle regole della versificazione. Il concetto di prosa va considerato in opposizione a quello di poesia: esso infatti indica una struttura che non presenta "l'andare a capo" del verso (regolato da norme metriche, esigenze ritmiche, volontà di espressione), ma procede diritta, completando il rigo ed usando "l'andare a capo" solo per indicare una separazione non metrico-ritmica ma concettuale, tra sequenze non obbligate da vincoli formali.

 

Con il termine prosa ci si riferisce abitualmente anche ad un genere teatrale.

 

Le funzioni della prosa colta sono molteplici:

Narrativa

Storiografia

Didattico-scientifica

Saggistico-critica

Oratoria

Epistola

Drammatica

Nonostante questa ricchezza di possibili forme, la prosa fu per lungo tempo lasciata a sperimentazione tutto sommato libera. Nella cultura latina la prosa non era legata a generi narrativi ma all'oratoria, che ne costituisce il sommo modello. Marco Tullio Cicerone nell'Orator distingue tre livelli di stile: basso, medio ed elevato, ed approfondisce i caratteri musicali della prosa stabilendo regole che riguardano la disposizione dei membri della frase, il ritmo e soprattutto la clausola del periodo, ovvero la sua parte finale, disposta secondo misure metriche analogiche a quella della poesia.

 

 

La civiltà rinascimentale ripropone una gamma più ampia di generi in prosa: la poetica del classicismo tende a presentare modelli da imitare nei diversi generi letterali. L'inversione di tendenza si ha nel seicento barocco che sottrae i suoi spettacolari artifici all'uso dell'imitazione. Nel 1700 la prosa diventa importante strumento per la divulgazione e per la polemica narrativa, filosofica, satirica, ma è con il 1800 che la distinzione tra prosa e poesia si approfondisce creando la distinzione tra la prosa di funzione teorico-narrativa e la poesia di funzione lirica, a questa distinzione si fa riferimento per la comprensione del dominio della prosa nel naturalismo.

 

La poesia è una forma d'arte che crea, con la scelta e l'accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. La poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere concetti e stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa, dove le parole non sottostanno alla metrica.

 

Siccome la lingua nella poesia ha una doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l'ortografia possono subire variazioni se questo è utile ai fini della comunicazione sia particolare sia complessiva.

A questi due aspetti della poesia si aggiunge un terzo quando una poesia, anziché essere letta direttamente, viene ascoltata: con il proprio linguaggio del corpo e il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo la dimensione teatrale della dizione e della recitazione. Nel mondo antico e in altre culture anche odierne poesia e musica sono spesso unite, come accade anche nei Kunstlieder tedeschi, poesie d'autore sotto forma di canzone di musiche d'autore.

 

Queste strette commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una poesia in lingue diverse dall'originale, perché il suono e il ritmo originali vanno

14. Nel 11-12 (XI-XII) secolo fu un rapido sviluppo delle città del nord Italia Alla fine del 13(XIII)secolo Firenze si distingue tra le altre città Italiane ed è il centro culturale ed economico. Questa è stata la causa del rafforzamento del dialetto fiorentino, che a quel tempo era il dialetto più comune del nord Italia. Il rafforzamento del ruolo del dialetto fiorentino come base della lingua letteraria contribuito ai lavori del grande poeta italiano Dante Alighieri (1265-1321). seguaci famosi Dante - Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375) affermato dialetto autorità fiorentina come base della lingua letteraria del paese.

I germanismi

Weltanschauung, Kindergarten, Würstel, Land

Gli iberismi

paella, toreador, sangria, patio

Accanto alle provenienze più frequenti, numerose parole provengono da lingue esotiche

imàm (arabo), sushi (giapponese), batìk (malese), kebàb (arabo)

Anche i ➔latinismi possono essere considerati a tutti gli effetti dei prestiti.

Si distinguono diversi tipi di prestito.

• Prestito non adattato (o integrale), quando la parola o l’espressione straniera entra nel lessico così com’è, portando con sé anche la grafia e le caratteristiche grammaticali estranee alla lingua di arrivo: basti pensare che in italiano le parole che terminano per consonante sono quasi tutte prestiti, come radar, computer, film, standard, dossier ecc.

• Prestito adattato, quando il vocabolo straniero si adatta alla grafia e alla morfologia della lingua che lo accoglie, ad esempio perdendo alcune lettere non presenti nel sistema della lingua di arrivo o modificando la desinenza, come per ideologia, adattamento del francese idéologie, o per cocchio, adattamento dell’ungherese kocsi.

• Un particolare tipo di prestito è rappresentato dal ➔calco, che può essere formale, quando traduce in italiano forme esistenti in una lingua straniera (come schiaccianoci dal tedesco Nussknacker, o libro tascabile dall’inglese pocket book), o semantico quando una parola, che ha in comune con la sua analoga straniera uno o più significati, assume per imitazione un nuovo significato (come stella ‘famoso attore cinematografico’, per calco dall’inglese star, in cui ha lo stesso significato).

 

Наукова проза і Галілей

La prosa scientifica, genere letterario che ha avuto come fondatore e massimo esponente Galileo Galilei, si fondò sulla base della trattatistica umanistica-rinascimentale.Il trattato comporta l'esposizione dei dati acquisiti ed interpretati secondo criteri assoluti che vengono trasmessi ma non creano conoscenza. La trattatistica si proponeva di affrontare e dare spiegazioni in diversi campi: quello politico, quello storico, quello giuridico e quello scientifico, e proprio di questa trattazione scientifica Galileo Galilei propone una radicale innovazione delle forme. La creazione della prosa scientifica mobilita contemporaneamente le facoltà della creazione letteraria e quelle della conoscenza sistematica e concettuale del mondo: un nuovo metodo di esposizione che ha il fine di persuadereemotivamente gli altri uomini, oltre che convincerli con la forza del ragionamento, costringendoli progressivamente con la forza a una presa di posizione attiva. L'impostazione dialettica della nuova scienza fonda la veridicità delle sue affermazioni sul confronto tra ipotesi e dati sperimentali, sul confronto e sullo scontro di ipotesi provvisorie. Galileo Galilei intende comunicare con persone colte ed attente al progresso della conoscenza, ma non con specialisti; sceglie per questo il volgare, abbandonando il latino filosofico-scientifico allora ancora predominante nelle università e nella comunità scientifica internazionale, mostrandosi così di rivolgersi ad un pubblico più vasto di quello degli accademici e degli studiosi. La parola della scienza appunto non deve chiudersi in un tecnicismo indifferente alla comunicazione e alle scelte espressive, ma contribuisce a creare una letteratura basata sul linguaggio razionale e concreto. La prosa di Galilei si caratterizza per la ricerca di un'estrema precisione: la nuova scienza non può fermarsi all'indeterminatezza, deve descrivere la realtà con termini rigorosi e deve rendersi conto allo stesso tempo dello scarto che esiste tra i nomi e la realtà oggettiva. Galilei si impegna a definire un linguaggi quanto più esatto possibile; ma, coerentemente con il suo atteggiamento, rifiuta di introdurre nuovi termini specialistici, e preferisce trasferire in ambiti tecnico parole del linguaggio comune, riferite alla vita quotidiana. Per conseguire il suo intento Galilei utilizza anche un particolare strumento retorico: l'ironia, che crea momenti di distacco e sospensione, intacca le false credenze e le false teorie, e si traduce in una rappresentazione del distacco tra le supposizioni degli uomini e la realtà delle cose.

Vittorio Alfieri.

La vita di Alfieri è descritta da lui stesso nella “vita di Vittorio Alfieri” scritta intorno al 1790. L’opera, divisa in quattro parti corrispondenti alle epoche della vita dell’autore (puerizia, adolescenza, giovinezza, virilità) narra le molte esperienze dell’autore. L’autore racconta di aver frequentato diversi ambienti, di essere venuto in contatto con le corti europee; da quì nasce una violenta propensione antitirannica. Infatti l’autore compone diversi trattati tra cui “Della tirannide”, in cui critica il potere dei tiranni con cui non é possibile stabilire alcun compromesso. La sua polemica è anche diretta contro gli intellettuali osservati al potere che, invece, dovrebbero combattere ogni opposizione

Goldoni utilizza un certo tipo di linguaggio perché desidera comunicare con un pubblico molto vasto, che possa comprendere facilmente le battute e quindi immedesimarsi nei personaggi. Questa lingua comune, adatta al suo pubblico, Goldoni non può mutuarla dalla tradizione letteraria e neppure dalla conversazione colta. Perciò, da osservatore attento del Mondo, cerca nella realtà in cui vive lo strumento comunicativo di cui ha bisogno e lo trova nel dialetto veneziano, una lingua non codificata, flessibile, diffusa sia fra il popolo sia nella classe dirigente. Goldoni scrivendo le sue commedie in veneziano, dà a questo dialetto piena dignità letteraria, gli attribuisce il valore di lingua, di strumento comunicativo ed espressivo che va oltre l’uso caricaturale o l’invettiva.

 

Причини мовної уніфікації.

Історичні умови виникнення італійської мови

Bruno Migliorini (1896-1975), l'autore di "Storia della lingua italiana ", fu il fondatore di questa disciplina accademica.

La lingua italiana fa parte del gruppo romanzo, che in Italia e in Spagna si chiama anche il gruppo delle lingue neolatine, perché provengono dal Latino.

È la lingua ufficiale della Repubblica Italiana, Vaticano (insieme al Latino), Repubblica di San Marino, Svizzera (insieme al Tedesco, Francese). L'Italiano è diffuso anche negli Stati Uniti, Germania, Argentina, Francia, Belgio, Etiopia, Somalia, Libia, Malta.-

I dialetti italiani formano i gruppi: settentrionale (Piemontese, Ligure, Lombardo, Emiliano, Veneziano), centrale (Toscano, Umbro, Romano, Corso), meridionale (Napoletano, Abruzzese, Pugliese, Calabrese, Siciliano). Esistono più di 100 parlate. Le cadenze sono molto diverse anche all'interno dello stesso gruppo. L’Italiano è il più vicino al Latino fra le altre lingue romanze.

Nei tempi antichi la lingua latina fu parlata dei cittadini romani. Il latino fu portato nelle terre conquistate dai soldati di Roma e fu assimilato con le lingue locali. Nel corso del tempo fra le varie modifiche il latino piu pulito si trovava in Africa,dove lo portarono i rappresentanti del potere di Roma, che lasciarono la patria molti anni prima ed, essendo ne fuori, non erano soggetti di processi di trasformazione linguistica a Roma.

Dopo la caduta dell”Impero Romano sorse una differenza tra II latino letterario ed il latino parlato, chiamato anche “volgare* Il latino si usava per scrivere le opere teologiche e filosofiche, le leggi ed i commenti al codice, le cronache, i trattati, di medicina e di astronomia Ma insieme al latino si sviluppava anche il volgare.

Il volgare si sviluppava nelle opere di poesia delle scuole siciliana e poi toscana. Dal 1200 maggior prestigio lo accquistò il toscano, essendo II più slmile al Ialino, fu messo alla base della lingua letteraria, sulla quale lavoravano Dante e poi Petrarca. Boccaccio e tanti altri scrittori c poeti. La formazione della lingua Italiana fu dovuta al Toscano e anche alle frasi e alle parole, provenienti da vari regioni.

Dante scrisse la sua 'Divina Commedia' dove dimostrò il funzionamento della lingua Italiana, ma la prima lingua nella quale la sua opera fu tradotta fu il latino.

Una grande importanza per lo sviluppo della lingua italiana ebbe l'attività dell'Accademia Crusca, (fondata a Firenze nel 1583, la quale pubblicò il primo dizionario della lingua italiana nel 1612.

Le opere di Alessandro Manzoni (1785 - 1873), uno scrittore e politico italiano, favorirono tanto ulteriore sviluppo della lingua Italiana. Manzoni trovò la via di usata dal labirinto dei problemi linguistici e sociali, chiamati la "Questione della lingua* Nella sua opera immortale *I promessi sposi* Alessandro Manzoni usa una lingua comprensibile a tutti gli italiani. Secondo Manzoni, la fonte ddla lingua letteraria deve essere il linguaggio degli stati culturali fiorentini.

2. Le lingue romanze, lingue latine o lingue neolatine[2] sono le lingue derivate dal latino. Sono parlate nel mondo come primo idioma da oltre un miliardo di persone, numero che arriva al miliardo e mezzo di individui (oltre un sesto dell'umanità) considerando anche i loro parlanti come seconda o altra lingua. Esse sono l'evoluzione diretta non del latino classico ma dellatino volgare a seguito dell'espansione dell'impero romano.

Tali varietà linguistiche vennero inizialmente definite come volgare, ossia popolare nel senso etimologico del termine (da vulgus, "popolo" in latino). La parola volgare non va dunque intesa come dispregiativa, ma semplicemente come riferimento alla lingua vernacolare, quella cioè impiegata - nella sua forma prevalentemente orale - nella vita quotidiana, in distinzione rispetto a quella della tradizione letteraria e ufficiale dello stato romano.

Il termine “romanzo” deriva dall'avverbio latino Romanice riferito al parlare vernacolo (romanice loqui) rispetto al parlare in latino(latine loqui). Da Romanice deriva la forma francese romanz, da cui l'italiano romanzo. Tali parlate formano quello che in dialettologia viene chiamato continuum romanzo.

L'area in cui si sono sviluppate - e sono ancora parlate nelle loro versioni contemporanee - viene chiamata Romània e corrisponde alla parte europea occidentale dell'impero romano, esclusa la Britannia, con l'aggiunta di altre isole linguistiche neolatine minori diffuse nei Balcani (lingue romanze balcaniche).

Nel Nordafrica l'invasione araba (VIII secolo) ha cancellato ogni volgare latino che vi si era sviluppato, mentre la persistenza dell'impero nella sua porzione orientale, con l'impiego prevalente della lingua greca a livello ufficiale, ha impedito la diffusione popolare del latino, prevenendo sviluppi linguistici analoghi a quelli occorsi nella porzione occidentale.

I latini volgari, come del resto il latino classico e le lingue romanze, vengono classificati nelle ramificazioni delle lingue italiche, nell'albero delle lingue indoeuropee.

 



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