Trascrivete dal testo le parole, le locuzioni e le frasi che di solito si usano nella conversazione e mettetele in un dialogo. 


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ЗНАЕТЕ ЛИ ВЫ?

Trascrivete dal testo le parole, le locuzioni e le frasi che di solito si usano nella conversazione e mettetele in un dialogo.



2. Fate delle frasi con quanto segue:

che testa! scannato! miserabile!, pezzo d'asino!; corpo di Dio; sangue della madonna!; me la pagherete!; malanno a chi non ci crede!; vi fulmino tutti!; oh, mamma mia!; figli d'un cane!; mi fuma la testa!; calma!; che c'è da ridere, scusi!; a vossignoria non brucia!; bacio le mani!; ci stai bene?; benone!; piacere!; qua dentro ci faccio i vermi; neanche per ischerzo!; pezzo da galera!; vedremo chi la vince.

3. a) Come si dice in italiano?

ты очень плохо поступил; ты сделал глупость; для тебя же хуже; сам виноват; ты не прав; ты ошибаешься; увы, мне очень жаль; что с тобой? как ты мог так сделать (сказать); ты преувеличиваешь!; ну и хорош же ты; ты меня просто смешишь; но мы же не дети; но кто же виноват?

b) Fate un dialogo, servendovi delle battute tradotte.

4. Mettete una o due frasi accanto ad ogni battuta, rendendo evidente il suo carattere d'ira o il cattivo umore di colui che parla:

non sono in vena; lasciami in pace, lasciatemi stare; sei proprio schifoso; mi fai schifo; non ti voglio più vedere; non vi posso soffrire; mi fa montare su tutte le furie; per chi mi prende!; non è affare suo; sono di cattivo umore; ha la luna storta; non ne posso più, questo non ti riguarda; mi dai fastidio.

 

FATE DA INTERPRETE

 

A. В итальянской политической терминологии встречается ряд терминов, трудных для понимания людей, недоста-точно знакомых с итальянской действительностью. Не могли бы Вы объяснить некоторые из этих терминов?

B. Prego, domandi pure.

A. Спасибо. Вот, например, что означает термин «консти-туционный закон»?

B. Con questa espressione s'intende sia una legge di revisione della Costituzione sia la legge costituzionale propriamente detta cioè di «integrazione» della Costituzione.

A. Существует ли специальная процедура для принятия этих законов?

B. Sì. Tutte le leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Carriera nella seconda votazione.

A. Понятно. Благодарю Вас. Не могли бы Вы разъяснить

такой термин, как «полномочный закон»? В. Lei intende la legge delega?

A. Да, да.

B. La legge delega è quella deliberata direttamente dal Governo (Consiglio dei ministri) in seguito a delega ricevuta con apposita legge delegante. Il parlamento concede la delega a tre condizioni che derivano dall'articolo 76 della Costituzione: 1) precisa determinazione dei principi e dei criteri direttivi; 2) tempo limitato; 3) per oggetti definiti. La delega non può essere concessa che eccezionalmente. Agli effetti, ancora, dell'articolo 72 della Costituzione, non possono essere dele­gate al Governo leggi in materia costituzionale ed elettorale, nonché quelle di autorizzazione a ratificare trattati interna­zionali o di approvazione dei bilanci preventivi o consuntivi.

A. Спасибо. Это совершенно ясно. Я хотел бы еще спросить, что означает термин «куцый» закон?

B. Legge stralcio è quella che è tratta da un «corpus» più vasto e può essere paragonata a «legge ponte» che serve di passaggio ad altra legge, probabilmente più organica e più ampia. È nota la legge stralcio per le questioni agrarie che ha concesso solo in minima parte la distribuzione delle terre incolte, salvo indennizzo, ai contadini.

 

Compito

Riassumete la conversazione: a) da parte dell'interlocutore russo; b) da parte dell'interlocutore italiano; c) da parte dell'interprete.

 

 

TESTO SUPPLEMENTARE

G. Raiberti

METAFORE ANIMALESCHE

 

Dalle similitudini dell'epopea fino ai proverbi della plebe, è un continuo confrontare gli uomini alle bestie.

Se siamo tardi d'ingegno, ci chiamano buoi; se sudici e corpulenti, porci; se villani e selvatici, orsi; se ignoranti, asini. Chi ripete i discorsi altrui è un pappagallo; chi riproduce le altrui azioni è una scimmia; chi esercita un poco di usura a sollievo dei disperati, è una sanguisuga. Patite le distrazioni? vi danno dell'allocco. Siete un uomo di tutti i colori? vi dicono camaleonte. Siete astuto? oh, che volpe! Siete vorace? oh, che lupo! Oh, che talpa, se non vedete le cose più chiare! Oh, che mulo, se siete pertinace! Oh, che gufo, se aborrite la luce della verità! La donna iraconda e vendicativa è una vipera, la volubile è una farfalla, civetta la lusinghiera....

Ma qui osserverà taluno, non si tratta che di quaetà viziose. Oh!... la forza con generosità (e anche senza) ha l'eterno suo modello nel leone. La fedeltà e Г amicizia hanno per tipo inevitabile il cane. Gli amanti teneri si dicono colombe; gl'ingegni sublimi aquile; i buoni poeti cigni. Chi ha acuto Г occhio della mente, vien paragonato alla linee; l'uomo mansueto si onora col titolo di agnello; chi fa risparmio per i futuri bisogni, si chiama provvido come la formica; perfino l'eclettico è un'ape che succhia il miele da ogni fiore. Insomma stimo bravo chi mi sa trovare un individuo solo che in bene o in male, non rassomigli a tré o quattro bestie almeno.

Compiti

1. Traducete il testo, trovando una metafora animalesca russa equivalente a quella italiana.

2. Fate delle frasi con le suddette metafore animalesche.

 

Unità 10

Domenico Rea

IL RAGAZZO RITROVATO

 

Ero appena salito in un filobus e mi ero fatto il biglietto, restando in un angolo della piattaforma posteriore, quando fui colpito dalla presenza del ragazzino.

Poteva avere al massimo una decina d'anni, ma riproduceva alla perfezione uno dei suoi simili adulti: quei giovinastri tra i diciotto e i venticinque anni dall'aspetto irritato e fiero. Fu questo particolare a colpire la mia attenzione. Il ragazzo indossava un «blue jeans» duro aderente alle cosce, con su un blusone da marinaio dibasso porto, col colletto rivoltato di panno rosso. Roba che si vende a Forcella e che, messa indosso a un qualsiasi altro ragazzo, sarebbe apparso come un travestimento. L'abito del mio ragazzo era invece una vera e propria tenuta da lavoro, con le macchie e la patina di polvere della fatica e che diveniva vero e autentico per una ragione assai più precisa e intima: non stonava col ragazzo che ci stava dentro, con quel volto di dieci anni che nessuno avrebbe potuto definire «viso» da fanciullo. Uno di quei volti infantili che hanno già visto molte cose o tutto e che si pensa debbono venire presto schedati nell'archivio di qualche riforma­torio. La mia ultima impressione al suo destino fu di immagi­narmelo prima o poi nelle mani della legge.

Il corpo, sebbene fosse nascosto dalla blusa e dai pantaloni riconfermava il mio pensiero. L'attaccatura delle cosce аll'inguine doveva rassomigliare a quella magra e rachìtica dei pupazzi. Il petto invece riempiva il blusone e con quella testa arcuata e con quella faccia astuta in cui gli occhi piccoli e biondastri non avevano un solo briciolo di luce ne faceva un essere indipendente, già capace di difendersi e dì offendere fino al sangue.

Egli stava seduto e guardava indifferentemente i passeggeri che aumentavano di fermata in fermata, con l'aria annoiata e di sopportazione di chi aspetta che finisca presto. Le punte delle sue scarpettine non riuscivano a toccare il pavimento della vettura. Salita una vecchia borbottante, il ragazzo la invitò con rauco dialetto ad accettare il suo posto. Restato all'impiedi, per trovare un po' di sfogo venne a rifugiarsi sulla piattaforma posteriore. Non gli toglievo gli occhi da dosso e se la gente mi spingeva cercavo di stargli vicino. Finii per trovarmi addosso a lui e lui nello spazio delle mie braccia. Voltò la testa verso di me e dovette trovarmi antipatico, di una particolare antipatia: giudicatrice e indifferente. Mi guardò di nuovo con una punta di sfida-come per dire: «Mi prendi per un bambino?» E subito dopo - glielo vidi lampeggiare negli occhi — «e per un pezzente, per vino di quelli che cercano nelle strade».

Tuffò una manina nella saccoccia destra del blusone e ne estrasse una manciata di monete. Una manciata! Come chi ha denaro in tasca e non lo conta e non ha bisogno di contarlo perché è avvezzo e non lo considera. Assicuratosi che lo guardavo e fingendo la massima indifferenza si mise non a contarlo, ma a riordinarlo secondo il taglio. Ne estrasse prima le venti e le cinquanta lire che ficcò nella saccoccia sinistra del calzone, poi le cinquecento, spiegandole e stirandole per bene e concalma, — tanto per far passare il tempo — e poi tre biglietti da mille.

Pensavo che non poteva essere denaro raccolto con le elemosine perché la gente non dà mai biglietti di grosso taglio; né denaro prelevato per commissioni ricevute da un parente o da un qualsiasi adulto perché glielo avrebbero dato un poco più ordinatamente. Era denaro rubato. E a chi? Era denaro vinto ad un gioco d'azzardo da marciapiede? No. Il ragazzo doveva stare negli affari e da tempo. Particolare importante quello di essersi fatto il biglietto. Se avessi dovuto dire il mio pensiero sull'origine di quel denaro credo mi sarei allontanato di poco dalla verità, dicendo che il bambino era andato a vendere merci, merci sue, raccolte per strada o soltanto comprate a basso prezzo per rivenderle a un prezzo maggiore. Mentre così sospettavo lui aveva terminato l'operazione, non dimenticando nel ficcare il denaro in fondo alla saccoccia di spiare sul mio volto l'effetto che mi aveva fatto quel suo mucchio.

«Ora» sembrava dirmi «ora che pensi di me? Non lo sospettavi, eh! Va! io mi sento cento volte più uomo di te». E forse era vero. Infatti mi trascurò, ficcò le mani nelle tasche e si mise a fischiare da uomo che ha pensieri, affari, guai, senza sorridere, senza che gli scappasse un solo gesto, indizio dei dieci o dodici o tredici anni che avesse.

La mia fermata era prossima e con piacere mi avvidi che sarebbe disceso anche lui. Mi lanciai di buon passo nel vicolo della mia camiciaia perdendolo di vista, ma lui mi raggiunse e mi sorpassò. Mi si mise davanti, voltandosi con astuzia per vedere se lo osservassi ancora. Vicino ad un caramellaio si limitò a dare una occhiata al banco e ai ragazzi che lo circondavano dando non so se un pugno o un pizzico ad uno di essi, che si voltò pronto ad una ribellione che gli dovette passare subito, misurando il mio ragazzo «nella sua giusta misura». Infatti, per bèffa, il mio ragazzo gli fece un prepotente segno di star zitto, fermandosi, pronto ad ogni sfida senza per altro dimenticarsi di me, come per dirmi: «Vedi chi sono! Questi qui (i ragazzi) li ho tutti per fatti». Passò un cane rasente il muro e lui gli diede un calcio. Poi entrai nel basso della camiciaia e non pensai più a lui.

Uscii una mezz'ora dopo e il ragazzino stava appoggiato al muro del vicolo. Sfumacchiava. Al fianco gli stava un altro ragazzo affatto inferiore a lui nell'aspetto di giovinastro. Il mio ragazzo gli doveva dire qualchecosa che l'altro ascoltava senza interesse, come i guappi di fama riconosciuta. Io pensai che mi avesse aspettato a bella posta per farsi vendere fumare e dissi tra me: «Non ha proprio nulla del bambino, proprio nulla. Forse quando dorme... Chi lo libera da quella faccia? Chi gliela potrebbe rifare fresca, rosea e innocente?» Finsi di non vederlo e tirai diritto per la mia strada. Poi mi sentii toccare ed io mi voltai di scatto dicendo:

— Che vuoi? — II ragazzo mi guardò fisso, con gli occhi bene aperti, ben spaventati. Ed io ripetei: — Si può sapere che cosa vuoi? — II ragazzo estrasse dalle tasche dei pacchetti di sigarette straniere. — Non fumo — dissi. Poi tesi una mano, presi un pacchetto e domandai: — Sono con la segatura?

Il ragazzino mi guardò per un attimo con occhi tondi e sfavillanti. Riprese il pacchetto, lo scartocciò e spinse fuori abilmente tre sigarette. Poi, così aperto, mi ridiede il pacchetto perche io odorassi il buon tabacco americano. Non contento, prese una sigaretta, la stracciò (e questo il nome del suo gesto) sbriciolò il tabacco nelle mani e lo buttò per terra dicendo:

— È roba genuina — io non tratto la roba di Forcella.

— Non far storie — dissi — dove la rubi?

— Signurì1, non parlate così, altrimenti non facciamo più l'affare e vi dimostro che sono un uomo onorato.

— Non mi far ridere.

— Signurì, voi fate troppe chiacchiere e io non ho tempo da perdere. Le volete o no le sigarette? (E rabbonendosi) — Io abito qua, mi conoscono tutti, domandate di Ciruzzo e vi portano fino a casa mia. Io vendo roba buona genuina, perché ci tengo a conservare i clienti. Siamo carte conosciute.

Allora dissi:

— Va bene — stupefatto del suo parlare. E aggiunsi: — Le prendo. Voglio però le Carnei. Queste non mi piacciono — avver-tendo una sincera pietà per quel ragazzo-mostro; per la società che li partoriva come aborti di natura spontanei e inevitabili. A vent'anni sarebbe stato se non un uomo fatto, uri uòmo deluso, amaro, triste, che aveva solo da sopportare una ripetizione infinita ed estenuante di quanto aveva già sperimentato, provato scontato, subito. Sì, come tanti e tanti altri che vanno in giro per queste strade; che a diciotto anni sono già mariti, già padri, già uomini nei guai con i capelli ritti sul capo: con quelle ragazze-mogli-madri al fianco, un poco indietro nel camminare, già sciupate, straziate, scolorite, svenate nel fiore di giovinezza.

Il ragazzo intanto aveva infilato l'altra mano nella tasca capiente per cercarvi le Carnei e la ritirò piena di... formelle (bottoni) di diverse forme e colori, di un fischietto, di pallini per fionde di uccelli, di pietre lisce e piatte di mare, tenendole con la stessa serietà con cui prima aveva tenuto il denaro. Deluso di non aver trovato le sigarette che cercava mi disse che sarebbe andato a prenderle a casa.

— Non fa niente — dissi. — Prendo queste... — ora che lo avevo ritrovato in tutta la sua infanzia tra quei bottoni;colorati in quelle mani sporche.

Adattato da D. Rea

1 Signurì! — Signore! — (dialettale)

 

ESERCIZI DI VOCABOLARIO

 

1.Imparate le parole e i nessi di parole:

la piattaforma di un filobus пло­щадка троллейбуса

farsi il biglietto купить себе билет

colpire l'attenzione di qd поразить кого-либо

con l'aria annoiata di sopportazione нехотя, снисходительно

non togliere gli occhi da dosso не сводить глаз с кого-либо

prendere qd per un bambino при­нимать кого-либо за ребенка

prendere per la destra (sinistra) повернуть направо (налево)

spiegare il biglietto da cento lire расправлять купюру в 100 лир

biglietti di grosso taglio крупные купюры

sfumaccbiare покуривать

tirar per la propria strada идти своей дорогой

avvertire pietà per qd чувствовать жалость к кому-либо

nel fiore di giovinezza в расцвете молодости

2. a) Traducete in russo:

la piattaforma posteriore del tram una piattaforma politica una piattaforma elettorale

b) Traducete in italiano, scegliendo la parola adatta: piattafórma, campo, arena, banchina

задняя площадка троллейбуса; избирательная платформа; спортивная площадка; железнодорожная платформа, детская площадка; политическая платформа.

c) Inventate un fatto, introducendo due o tre volte nel racconto la parola piattaforma.

3. a) Trovate una traduzione adeguata:

destare una viva attenzione, attirare l'attenzione, eccitare l'attenzione, colpire l'attenzione;

distrarre l'attenzione, sviare l'attenzione, allontanare l'atten­zione;

prestare, fare (molta, poca) attenzione a qc; rivolgere, richiamare l'attenzione di qd a qc.

b) Traducete in italiano, adoperando la parola attenzione:

1. He обращайте на него внимания, он всегда такой. 2. Этому вопросу необходимо уделить серьезное внимание. 3. Не следует привлекать их внимания. 4. Обсуждение этого вопроса вызвало живой интерес всех присутствующих. 5. Этот инцидент возбудил всеобщее внимание. 6. Необхо­димо отвлечь внимание ребенка. 7. Он сосредоточил все свое внимание на выполнении задания. 8. Ваши вопросы отвле­кают внимание присутствующих. 9. Ваши слова поразили меня (привлекли мое внимание).

c) Aggiungete un complemento ad ogni costrutto e traducete in russo:

richiamare l'attenzione di...

prestare (l')attenzione a...

sviare l'attenzione da...

eccitare l'attenzione di...

destare 1'attenzione per...

d) Inventate una breve storia, in cui possano spontaneamente figurare le espressioni:

allontanare l'attenzione, destare una viva attenzione.

4. a) Parafrasate:

avvertire qd del pericolo; avvertire d'un errore; avvertire che ci sono ospiti; avvertire un disturbo, una malattia; avvertire pietà per qd.

b) Traducete in russo, adoperando il verbo avvertire:

испытывать жалость к больному человеку; у больного были головные боли (он испытывал боли); предупредить об опасности; хочу предупредить о том, что вас ждут; предо­стеречь от ошибки.

5. a) Trovate una traduzione russa adeguata del verbo spiegare:

levò la gonna dalla valigia e la spiegò; spiegò il foglio di carta; spiegare la voce; il maggiore spiegò le truppe; spiegare le vele (distendere le vele al vento); spiegare le ali; spiegare un mistero; spiegare un rebus; spiegare il senso, la difficoltà; spiegarsi a stento in inglese; non so se mi spiego; spiegare le bandiere.

b) Traducete in italiano, adoperando il verbo spiegare (spiegarsi):

объяснить трудное правило; идти на. всех парусах; развернуть знамена; построить войска; запеть вo весь голос; расправить крылья; объяснить загадку; объясняться по-немецки; не знаю, ясно ли я говорю.

c) Fate cinque frasi, introducendovi il verbo spiegare nei suoi vari significati.

6. a) Servendovi dei vocabolari della lingua italiana di Zingarelli, di Palazzi, o d'altri autori, spiegate l'uso del verbo tirare.

b) Traducete in russo le espressioni e usatele in frasi:

I cavalli tirano la carrozza; una parola tira l'altra; uscì tirandosi dietro l'uscio; lo tirò a se e lo strinse tra le braccia; tira a te la cassetta; i più tirano i meno; la pipa tira bene; la terrà asciutta tira l'acqua; lo tirarono su i compagni; tirati su da te; tirar l'acqua al mulino di qd; tirar su i bambini; tirar giù la tenda; tirar fuori il coltello; tirar fuori delle scuse; tirar fuori argomenti importanti; tirar in alto la bandiera; tirar avanti (indietro) la sedia; tirar avanti la famiglia; tirar da parte qd; tirarsi da parte; tirare uno per i capelli; tirare il paletto (il chiavistello); tirare le somme; tirar la stampa; tirare sul nemico; tirare a lepre; tirar tardi.

c) Inventate una breve storia, in cui possa spontaneamente figurare una delle espressioni col verbo tirare.

7. a) Trovate dei sinonimi dell'espressione esser avvezzo a qc.

b) Mettete in frasi: esser abituato (accostumato, consueto) a qc.

8. Leggete il saggio, riassumetelo in italiano e in russo:

CARLO MUSCETTA SU D. REA

 

Ennesimo fra i discepoli meridionali del Caravaggio, Rea seppe gettare fulminei colpi d'occhio a questa «rinascita del mondo avvenuta così popolosamente».

«La figlia di Casimiro Clarus», che Francesco Flora (bene­merito scopritore di Rea) presentò a Mercurio nel'45 fu il primo racconto di Rea, pubblicato però tre anni dopo la composizione. Fu salutato dai letterati come una novità. Ed era tale ma non proprio per quel tono di composta allegria che suggellava melodiosamente il racconto (l'amore di un povero maestro elementare per «un'innocenza di donna», figlia di un ricco agrario); bensì a causa della figura di Casimiro, che tanto disprezza quel maestrucolo, e geloso di sua figlia come d'ogni suo bene, gl'invidia e gl'impedisce quella felicità che lui stesso non è riuscito a possedere, affogato nella grascia e avvelenato dalla convivenza di una moglie troppo cafona e troppo fedele. Questo racconto, ristampato da Rea opportunamente in appendice al suo primo volume, Spaccanapoli, è da considerare come l'addio a un certo consolato lirismo della vecchia letteratura, quella del Ventennio. Nei moti frenetici di Casimiro, spinti fino ad una tormentata buffoneria, che contrasta con la dolente passione dei due giovani, c'era uno spunto tragico a cui avrebbe potuto dare sviluppo solo una tragedia più vasta. Una dichiarazione di commovente ingenuità si legge in questo racconto: «II vero è ciò che è sentito, ciò che si fa sentimento». Per forza di fatti, questa divenne la poesia di Rea, al tempo dell' Interregno: questo fu il suo vero, questo divenne il sentimento delle sue novelle.

Non sono quelle del Decamerone, ci ha avvertito un critico. Certamente. E chi mai oggi può sopportare paragoni siffatti? Allo spreco di parentele più o meno illustri per celebrare le qualità di Rea, e forse ingeneroso contrapporre tutte le «incongnienze» che si possono leggere nei suoi scritti (e ce ne sono assai più che nei quadri del Caravaggio). Persone poco caratterizzate, linguaggio incerto fra lingua e dialetto, oscurità di frappassi psicologici e di' ambientazione (fra l'altro tutti credono che la scena sia a Napoli, e invece siamo in provincia).

Rea illumina vivamente il sottosuolo della disgregazione meridionale, riesce ad imprimere nella nostra memoria fotogram­mi audacissimi. Ecco la «prostitutella pallida e freddolosa, con le dita sporche di nicotina, che cambiava paese e seguiva «in tradotta» le lunghe e comode colonne americane. Se le si dava a parlare non rispondeva. Se le si offriva una cosa, ringraziava con gli occhi attraversati di fraterna luce. Negli altri momenti della sua vita doveva usare gli «occhi falsi». E allo scandalo capitato in un convento: «Gesù, fate luce», — grida una monaca alla vista di Piededifico, il «pezzente-stabile» che non potendo più esercitare la sua professione, s'è cacciato nella ben provveduta cantina delle nostre sorelle in Cristo, e ha trovato finalmente il sistema per mangiare lui e la sua famiglia.

Ma il più bel racconto di Rea s'intitola «La signora scende a Pompei», ed è stato pubblicato in un settimanale milanese, che veramente non era il più adatto ad ospitarlo. Qui Rea ha dimostrato di saper rimanere nel racconto, contenendosi e rattrappandosi nella delusione di una povera vecchia, che in un bell'autobus credeva di poter viaggiare e di poter recarsi a Napoli ad accompagnare un'altra derelitta, una mutilatina di guerra: i soldi non bastano anche per lei, il fattorino le offre cinquanta lire, per non offendere i signori viaggiatori che si limiteranno a donarle spalle e nuche senza orecchie. La signora scende e la bimba prosegue, l'aspetterà al capolinea. A Pompei certi «miracoli» non accadono.

Adattato da «Letteratura militante» di C. Muscetta

ESERCIZI DI GRAMMATICA

 

1. a) Che significato aggiungono al verbo i suffissi — icchiare;acchiare?

b) Traducete in russo:

rosicchiare, vivacchiare, ridacchiare, scribacchiare, mangiuc­chiare, leggiucchiare.

2. a) Trascrivete dal testo tutti gli aggettivi con il rispettivo

sostantivo e mettete accanto ad ogni aggettivo un altro sostantivo adeguato:

p. es.: aspettq irritato e fiero; una donna irritata, un portamento fiero.

b) Mettete accanto ai seguenti aggettivi dei sostantivi appropriati:

irritato, fiero, duro, vero e proprio, autentico, infantile, magro, rachitico, arcuato, astuto, biondastro, indipendente, antipatico, indifferente, deluso, amaro, sciupato, straziato, scolorito.

c) Dite venti aggettivi con cui si possa fare il ritratto fisico e morale di una persona (dando una caratteristica positiva o negativa).

3. Spiegate la diversa natura degli attributi espressi nei nessi con preposizione da e traduceteli in russo:

tenuta da lavoro; viso da fanciullo; macchina da scrivere; un giovane dagli occhi celesti; una ragazza dall'aspetto irritato, fiero; biglietti da mille; un orologio da polso; un blusone da marinaio; un atto da eroe.

4. a) Traducete in russo i seguenti costrutti:

stava appoggiato al muro; stavano seduti sul letto; stavo sdraiato sull'erba; stavano rivolti alla porta; stava curvo sui malato; stavano in piedi.

b) Dite altri costrutti simili con il verbo restare.

5. Traducete le frasi in italiano formando nelle subordinate delle proposizioni implicite o esplicite:

1. Едва я сел в автобус и взял билет, как заметил мальчишку, вид которого меня поразил.

2. На мальчике была морская форма, и если бы я увидел такую на ком-нибудь другом, я бы подумал, что парень собрался на маскарад.

3. Он сидел и равнодушно-скучающе смотрел на пассажи­ров, которых становилось все больше и больше.

4. Когда в автобус вошла старуха, мальчик уступил ей свое место, пробурчав что-то на диалекте.

5. Оставшись без места, он решил пройти на заднюю пло­щадку.

6. Убедившись, что я не спускаю с него глаз, мальчишка полез в карман и, вытащив пачку денег; начал их рас­правлять и раскладывать по купюрам.

7. Закончив эту операцию, мальчишка, продолжая погляды­вать на меня, засунул деньги обратно в карман.

8. Он шел впереди меня, постоянно оглядываясь и проверяя, иду ли я за ним.

9. Задевая по дороге мальчишек, он победоносно поглядывал на меня, как бы говоря: «видишь, какой я, они все у меня в руках».

6. a) Fate l'analisi dell'uso degli articoli nel saggio di C, Muscetta su D. Rea.

b) Traducete le frasi in italiano, controllando l'uso dell'articolo e consultando il testo:

Рассказ «Дочь Казимиро Кларуса» был первым рассказом Реа, опубликованным через три года после его написания. Этот рассказ читатели приветствовали как новое слово (novità). И он действительно был таким. Этот рассказ по­явился еще раз в конце первого тома сборника «Спакка-наполи», это следует рассматривать как своего рода проща­ние с каким-то лиризмом самоуспокоения, свойственным прежней литературе, литературе периода диктатуры.

Произведения Реа — не Декамерон, заметал критик. Конечно. Но кто из современных авторов может выдержать подобные сравнения?

Самым замечательным рассказом Реа является его «Синьора сходит в Помпее». Главное действующее лицо рассказа — бедная старуха, которая надеялась доехать до Неаполя в отличном автобусе вместе со своей внучкой, пострадавшей от войны. Однако ей не хватает денег на билет и кондуктор дает ей 50 лир, чтобы не обидеть господ пасса­жиров, отвернувшихся от старухи и делавших вид, что они ничего не слышат. Старуха сходит, а девочка едет дальше и ждет старуху на конечной остановке автобуса.

 

TEMI ORALI E SCRITTI

 

1. Descrivete 1'aspetto del ragazzo servendovi delle parole e delle espressioni usate dall'autore/

2. Che cosa aveva notato distrano l'autore nel comportamento del ragazzo?

3. Riassumete il contenuto del dialogo tra l'autore e il ragazzo.

4. Riassumete gli avvenimenti del racconto al posto del ragazzo.

5. Quali problemi morali e psicologici ha sollevato l'autore nel racconto?

ESERCIZI DI CONVERSAZIONE

 

1. a) Come si dice in italiano?

неужели? да как же это?!; это совершенно невозможно, ну это уже слишком; кто бы мог подумать!; да вы с неба свалились?!; какой ужас! ты меня пугаешь; не может быть!; я весь дрожу; не бойтесь; у меня волосы дыбом встали; осторожно; неужели это правда?!

b) Fate un dialogo, usando le battute tradotte.

c) Mettete una o due frasi accanto ad ogni battuta, rivelando il suo carattere di formula di gentilezza:

prego; per favore; per piacere; s'accomodi; non c'è di che; figurati; il piacere è tutto mio; piacere; non è niente; dimmi; dica; tanti àuguri; altrettanto; tante belle cose; onorato, felice di fare la Sua conoscenza; sia gentile; favorisca; stia comodo; servo suo; le sono obbligato; le sono grato; le sono riconoscente.

2. a) Comesi dice in italiano:

хорошо, ничего, великолепно, так себе, ничего особен­ного, это бывает, дураков нет; это мелочи; ничего не по­делаешь!; ну и тип; какое счастье!; не упусти случая; ну это совсем другое дело; это уж слишком; само собой разумеется; это Вас касается; не падайте духом; вот это как раз то, что нужно; не обращай внимания; ты дешево отделался.

b) Fate un dialogo, usando le battute tradotte.

с) Mettete una o due frasi accanto ad ogni battuta, rivelando il suo carattere di apprezzamento:

è un buon affare; che donna! (che uomo!); questo cambia tutto; ecco che cosa ci vuole; te la sei cavata; no, questo non va; tutto passerà; troveremo qualche via d'uscita; sono sciocchezze; non fare attenzione; pazienza.

 

FATE DA INTERPRETE

 

A. Среди многих рассказов Доменико Реа, опубликованных в журналах и вышедших отдельными сборниками, важное место занимает его сборник рассказов под общим названием «То, что видел Куммео». В этом сборнике есть очень интересный очерк о Неаполе. Я, к сожалению, забыл, как он называется.

B. «Le due Napoli», si intitola questo saggio, che è fondamentale per conoscere le ragioni artistiche e morali che stanno alla base della narrativa di Rea. «Le due Napoli» sono quella del folklore e della letteratura da un lato (la Napoli canora e turis­tica) e dall'altro la vera Napoli, che «è sì più brutale ma più storica e meritevole di comprensione». Illustrando questa vera Napoli, Rea riesce a scrivere una delle più profonde analisi storiche che si conoscono della «pulcinelleria» e delle sue origini e ragioni del vicolo napoletano e della miseria allegra dei napoletani dei «bassi»: un'analisi che è umanamente е sdegnosamente polemica, tesa a rivendicare il dramma dei «bassi», che è dramma storico e dramma umano.

A. Действительно, очерк очень интересный. Он по-новому заставляет увидеть Неаполь, его особенности, жизнь обитателей бедных кварталов города. Он заставляет задуматься над многими проблемами, до сих пор не решенными в Южной Италии. Какие же рассказы сбор­ника, по Вашему мнению, наиболее интересны?

B. Mi sembra di dover particolarmente segnalare due degli otto racconti: quello che da il titolo al volume, e che potremmo definire come la storia dell'educazione sentimentale di un ragazzo dei «bassi», e il bellissimo Idillio, dove certi fonda­mentali sentimenti dell'animo umano resistono, in un personaggio quasi di mito, al di sopra e contro gli orrori della guerra e lo squallore della miseria.

A. Что нового в творчестве Реа появляется в этом сборнике рассказов по сравнению с другими?

В. In «Quel che vide Cummeo» è soprattutto notevole l'analisi dei caratteri e del rapporto fra personaggi e fatti, fra fatti ed ambiente. E lo sfile si distende in una sorta di narrativa attenta e pacata che segna una fase nuova di fronte ai celebri racconti di «Gesù, fate luce». Nel «Cummeo», nelle sue settanta pagine, vi è già, in germe, il romanzo. La svolta verso un lavoro di più largo respiro o di più varia e organica composizione.

Compiti

1. Riassumete il contenuto della conversazione dal punto di vista: a) del primo interlocutore; b) del secondo interlocutore; c) dell'interprete,

2. Raccontate a una terza persona quel che avete sentito essendo presente alla conversazione.

E. Montale

MEDITERRANEO

 

Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale

siccome i ciottoli che tu volvi,

mangiati dalla salsedine;

scheggia fuori del tempo, testimone

di una volontà fredda che non passa.

Altro fui: uomo intento che riguarda

in sé, in altrui, il bollore

della vita fugace — uomo che tarda

all'atto, che nessuno, poi, distrugge.

Volli cercare il male

che tarla il mondo, la piccola stortura

d'una leva che arresta

l'ordigno universale; e tutti vidi

gli eventi del minuto

come pronti a disgiungersi in un crollo.

Seguito il solco d'un sentiero m'ebbi

l'opposto in cuore, col suo invito; e forse

m'occorreva il coltello che recide,

la niente che decide e si determina.

Altri libri occorrevano

a me, non la tua pagina rombante.

Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli

ancora i groppi interni col tuo canto.

Il tuo delirio sale agli astri ormai.

(Da «Ossi di seppia»}

 

TESTO SUPPLEMENTARE

 

Compito: Leggete il testo e riassumetelo

Antonio Gramsci

LETTERE DAL CARCERE

Casa Penale di Turi,

7 settembre 1931

Carissima Tatiana

...Vorrei rispondere qualche cosa alla tua lettera del 28 agosto in cui accenni qualche cosa intorno al mio lavoro sugli «intellettuali italiani». Si capisce che hai parlato con Р., perché certe cose può solo avertele dette lui. Ma la situazione era diversa. In dieci anni di giornalismo io ho scritto tante righe da poter costituire quindici o venti volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano, secondo me, morire dopo la giornata. Mi sono sempre rifiutato di fare delle raccolte sia pure ristrette. Il professor Cosmo voleva nel'18 che gli permettessi di fare una cernita di certi corsivi che scrivevo quotidianamente in un giornale di Torino; egli li avrebbe pubblicati con una prefazione molto benevola e molto onorevole per me, ma io non volli permettere. Nel novembre del '20 mi lasciai persuadere da Giuseppe Prezzolini a lasciar pubblicare dalla sua casa editrice una raccolta di articoli che in realtà erano stati scritti su un piano organico, ma nel gennaio del '21 preferii pagare le spese di una parte della composizione già fatta e ritirai il manoscritto. Ancora nel '24 l'onorevole Franco Ciarlantini mi propose di scrivere un libro sul movimento dell' «Ordine Nuovo» che egli avrebbe-pubblicato in una sua collezione dove erano già usciti i libri di Mac Donald, di Gompers, ecc.; egli s'impegnava a non mutare neanche una virgola e a non appiccicar al mio libro nessuna prefazione o postilla polemica. Avere pubblicato un libro da una casa editrice fascista in queste condizioni era molto allettante, pure rifiutai. Per P. la questione era diversa: ogni suo scritto di scienza economica era molto apprezzato e iniziava lunghe discussioni nelle riviste specializzate. Ho letto in un articolo del senatore Einaudi che P. sta preparando una edizione critica dell'economista inglese David Ricardo: l'Einaudi loda molto l'iniziativa e anch'io sono molto contento. Spero di essere capace di leggere correntemente l'inglese quando questa edizione sarà pubblicata e di potere leggere Ricardo nel testo originale. Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto come disegno e in realtà non credo che esistano in Italia libri su questo argomento. Esiste certo molto materiale erudito ma disperso in un numero infinito di riviste e di archivi storici locali. D'altronde io estendo molto la nozione di intellettuale e non mi limito alla nozione corrente che si riferisce ai grandi intellettuali. Questo studio porta anche a certe determinazioni del concetto di Stato che di solito è inteso come società politica (o dittatura o apparato coercitivo per conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l'economia di un momento dato) e non come un equilibrio della società politica con la società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull'intera società nazionale esercitata attraverso le organizzazioni cosiddette private, come la Chiesa, i sindacati, le scuole, ecc.). E appunto nella società civile specialmente operano gli intellettuali (Benedetto Croce, per esempio, è una specie di papa laico ed è uno strumento efficacissimo di egemonìa anche se volta per volta possa trovarsi in contrasto con questo o quel governo, ecc.). Da questa concezione della funzione degli intellettuali, secondo me, viene illuminata la ragione o una delle ragioni della caduta dei Comuni medioevali, cioè del governo di una classe economica che non seppe crearsi la propria categoria di intellettuali e quindi esercitare un'egemonia oltre che una dittatura; gli intellettuali italiani non avevano un carattere popolare-nazionale ma cosmopolita sul modello della Chiesa e a Leonardo era indifferente vendere al duca Valentino i disegni delle fortificazioni di Firenze. I Comuni furono dunque uno Stato sindacalista che non riuscì a superare questa fase e a diventare Stato integrale come indicava invano il Macchiavelli che attraverso l'organizzazione dell'esercito voleva organizzare l'egemonia della città sulla campagna, e perciò si può chiamare il primo giacobino italiano (il secondo è stato Carlo Cattaneo, ma con troppe chimere in testa). Così ne deriva che il Rinascimento deve essere considerato un movimento reazionario e repressivo... in confronto dello sviluppo dei Comuni, ecc. Ti faccio questi accenni per farti persuasa che ogni periodo della storia svoltosi in Italia, dall'Impero Romano al Risorgimento, deve essere guardato da questo punto di vista monografico. Del resto, se avrò voglia e me lo permetteranno le superiori autorità, farò un prospetto della materia che dovrà essere di non meno di cinquanta pagine e te lo invierò; perché, naturalmente, sarei lieto di avere dei libri che mi aiutassero nel lavoro e mi eccitassero a pensare. Così pure in una delle prossime lettere ti riassumerò la materia di un saggio sul canto decimo dell'Inferno dantesco perché trasmetta il prospetto al professor Cosmo il quale come specialista in danteria mi saprà dire se ho fatto una falsa scoperta o se veramente meriti la pena di compilarne un contributo, una briciola da aggiungere ai milioni e milioni di tali note che sono state già scritte.

Non credere che io non continui a studiare, o che mi avvilisca perché a un certo punto non posso condurre più avanti le mie ricerche. Non ho perduto ancora una certa capacità inventiva nel senso che ogni cosa importante che leggo mi eccita a pensare: come potrei costruire un articolo su questo argomento? Immagino un cappello e una coda piccanti e una serie di argomenti irresi­stibili, secondo me, come tanti pugni in un occhio; e così mi; diverto da me stesso. Naturalmente non scrivo tali diavolerie: mi limito a scrivere di argomenti filologici e filosofici, di quelli per cui Heine scrisse: erano tanto noiosi che mi addormentai, ma la noia fu tanta, che mi costrinse a svegliarmi.

Ti abbraccio teneramente.

Antonio

 

Adattato da A. Gramsci

Unità 11

Alberto Moravia

 

LA CIOCIARA

(Stralcio dal capitolo VI)

 

Siccome, però, non si vedevano i tedeschi da nessuna parte, Michele propose di andare da certi suoi conoscenti che gli risultava che si erano rifugiati in una baracca, tra gli aranceti. Disse che era brava gente e, se non altro, avrebbero potuto suggerirci dove trovare i tedeschi che ci cambiassero le uova col pane. Così, dopo un poco, lasciammo la strada maestra e ci inoltrammo per un sentierucolo, tra i giardini. Michele ci disse che tutti quegli aranci appartenevano аlla persona da cui ci recavamo, un avvocato scapolo, il quale vìveva con la vecchia madre. Camminammo forse dieci minuti e alla fine sbucammo in una piccola radura, davanti una baracchetta da niente, con le pareti di mattoni e il tetto di bandone ondulate. La baracca aveva due finestre e una porta. Michele si avvicinò ad una delle finestre, guardò, disse che i padroni c'erano e picchiò due volte. Aspettammo un pezzo e alla fine la porta si aprì lentamente e come malvolentieri e l'avvocato apparve sulla soglia. Era un uomo sui cinquant' anni, corpacciuto, calvo, con la fronte pallida e lucida come l'avorio circondata di tanti capelli neri tutti arruffati, gli occhi acquosi e un po' a fior di pelle, il naso a becco, la bocca molle e ripiegata sul mento grasso. Indossava un paltò da città, di quelli che si indossano di notte di panno blu con il bavero di velluto nero, ma sotto questo cappotto così elegante ci aveva un paio di pantalonacci sfrangiati e scarpe da soldato, di vacchetta, chiodate. Vedendoci, lo notài subito, ci rimase male; però si riprese subito e gettò le braccia al collo a Michele, con una cordialità persino eccessiva. «Michelino... ma bravo, ma bravo... che buon vento ti porta?». Michele ci presentò e lui ci salutò a distanza, con impaccio e quasi con freddezza. Intanto, però restavamo sulla soglia e lui non ci invitava ad entrare. Michele allora disse: «Passavamo di qua e allora abbiamo pensato di farle una visita». L'avvocato rispose, come trasalendo: «Ma bravi... beh, stavamo appunto mettendoci a tavola... venite anche voi, mangerete con noi». Esitò e poi soggiunse: «Michele, ti avverto... siccome conosco i tuoi sentimenti che del resto sono anche i miei... Ho invitato il tenente tedesco che comanda la batteria antiarea qua accanto... dovevo farlo... eh, purtroppo di questi tempi...». Così, scusandosi e sospirando, ci introdusse nella baracca. Una tavola tonda era la sola cosa pulita e in ordine della stanza; per il resto non si vedevano che cianfrusaglie, mucchi di stracci, cataste di libri, valigie e casse ammonticchiate» Alla tavola stavano già seduti la madre dell'avvocato, una signora anziana, piccola, vestita di nero, con la faccia grinzosa e apprensiva, come di scimmietta impaurita, e il tenente nazista, un biondino magro, piatto come un foglio di carta nella divisa attillata, con certe gambe lunghe in pantaloni da cavallerizzo e stivali, che lui stendeva sanfason qua e là sotto la tavola. Pareva un cane e ci aveva il viso di cane: tutto naso, gli occhi quasi gialli ravvicinati, senza ciglia né sopracciglia, con l'espressione pronta e ostile, la bocca grande e tirata indietro. Cortese e compito, si levò in piedi e ci salutò sbattendo i tacchi; ma non strinse la mano a nessuno e si rise­dette di colpo, come per dire. «Non lo faccio per voi ma lo faccio perché sono una persona educata». L'avvocato, intanto, spiegava che il tenente era addetto alle batterie antiaeree, cosa che noi già sapevamo; e che quel pranzo era un pranzo di buon vicinato. «E speriamo — concluse l'avvocato — che presto la guerra finisca e il tenente possa invitarci a casa sua, in Germania». Il tenente non diceva nulla, non sorrise neppure; e io pensai che non sapesse la nostra lingua e non avesse capito. Ma poi, ad un tratto, disse in buon italiano: «Grazie, non bevo aperitivi» alla madre che con voce lamentosa gli offriva un vermut. E capii allora, non so perché, che lui non sorrideva perché, per qualche suo motivo, ce l'aveva con l'avvocato.

Intanto la madre dell'avvocato, spaurita, tremante, apprensiva andava e veniva dalla cucina portando i piatti con le due mani, manco fossero stati il Sacramento. Mise in tavola dell'affettato, salame e prosciutto, del pane a cassetta tedesco, proprio quello che noi stavamo cercando e poi una minestra di vero brodo, con i tagliolini e, alla fine, un grosso pollo lesso con un contorno di sottaceti. Mise anche in tavola una bottiglia divino rosso, di buona qualità. Si vedeva che l'avvocato e sua madre avevano fatto uno sforzo per quel giovanottello tedesco il quale, adesso, con la sua batteria, era loro vicino e perciò gli conveniva tenerselo buono. Ma il tenente ci aveva davvero un brutto carattere perché, per prima cosa, indicò il pane a cassetta e domandò: «Potrei chiederle, signor avvocato, come ha fatto lei a procurarsi questo pane?». L'avvocato, che sedeva tutto accappottato come se ci avesse avuto la febbre alta, rispose, con voce esitante e scherzosa: «Beh, un regalo, un soldato l'ha regalato a noi e noi abbiamo fatto un regalo a lui... si sa, in tempo di guerra...»; «Uno scambio — disse l'altro, spieiato — è proibito... e chi era questo soldato?» «Eh, eh, tenente, si dicé il peccato e non il peccatore... provi questo prosciutto, questo non è tedesco, è nostrano». Il tenente non disse nulla e incominciò a mangiare il prosciutto. Dopo l'avvocato, il tenente rivolse ad un tratto la sua attenzione verso Michele. Gli domandò, così a bruciapelo, quale fosse la sua professione; e Michele rispose senza esitare che era professore e insegnava. «Insegnante di che?». «Di letteratura italiana». II tenente, con meraviglia dell'avvocato, disse allora tranquilla­mente: «Conosco la vostra letteratura... ho persino tradotto in tedesco un romanzo italiano». «Quale?». II tenente disse il nome dell'autore e il titolo, ora non ricòrdo né l'uno né altro; e potei vedere che Michele, il quale fin' allora non aveva mostrato alcun interesse per il tenente, adesso pareva incuriosito; e che l'avvocato, vedendo che il tenente parlava a Michele quasi con una specie di considerazione, come da pari a pari, aveva cambiato anche lui di atteggiamento: pareva contento di aver Michele a tavola, arrivò persino a dire al tenente: «Eh, il nostro Festa è un letterato... un letterato di valore», battendogli una mano sulla spalla. Ma il tenente sembrava farsi un punto d'onore nel non occuparsi dell'avvocato, che pure era il padrone di casa e l'aveva invitato. E proseguì, rivolto a Michele: «Sono vissuto per due anni a Roma e ho studiato la vostra lingua... personalmente mi occupò di filosofia». L'avvocato cercò di intrufolarsi nella conversazione dicendo, scherzoso: «Allora lei capirà perché noialtri italiani prendiamo tutto quello che ci è successo in questi ultimi tempi, con folosofta... eh, eh, già, appunto, con filosofia...» Ma ancora una volta il tenente neppure lo guardò. Adesso parlava fitto fitto con Michele, facendo una quantità di nomi di scrittori e di titoli di libri, si vedeva che conosceva bene la letteratura e mi accorgevo che Michele, quasi suo malgrado e come con avarizia, pian piano cedeva ad un sentimento se non proprio di stima, per lo meno di curiosità. Andarono avanti così per un poco e poi, non so come, si venne a parlare della guerra e di quello che può essere la guerra per un uomo di lettere o un filosofo; e il tenente, dopo aver osservato che era un'esperienza importante, anzi necessaria, se ne venne fuori con questa frase: «Ma la sensazione più nuova e anche più estetica», ripeto questa parola «estetica»; sebbene sul momento non la capissi, perché tutta quella frase mi è rima-sta impressa nella memoria come con il fuoco, «l'ho provata durante la campagna dei Balcani e sa lei, signor professore, in che modo? Ripulendo una caverna piena di soldati nemici con il lanciafiamme». Questa frase l'aveva appena proferita che rimanemmo tutti e quattro, Rosetta, io, l'avvocato e sua madre, come di sasso. Dopo ho pensato che forse era una vanteria e ho sperato che non l'avesse mai fatto e non fosse vero: aveva bevuto qualche bicchiere di vino, il viso gli si era arrossato e gli occhi erano un po' lustri; ma lì per lì sentii il mio cuore sprofondare e mi gelai tutta. Guardai gli altri. Rosetta teneva gli occhi bassi; la madre dell'avvocato, dal nervoso, rimetteva a posto, con mani tremanti, una piega della tovaglia; l'avvocato aveva fatto come la tartaruga, si era ritirato con la testa dentro il cappotto. Soltanto Michele guardava al tenente con occhi spalancati; quindi disse: «Interessante, non c'è che dire, interessante... e ancor più nuova ed estetica, suppongo, sarà la sensazione dell'aviatore che sgancia le sue bombe su un villaggio, e, dopo che è passato, dove c'erano le case non c'è più che una macchia di polvere». II tenente, però, non era così scemo da non accorgersi che la frase di Michele era ironica. Disse, dopo un momento: «La guerra è un'esperienza insostituibile, senza la quale un uomo non può dirsi un uomo... e a proposito, signor professore, come mai lei si trova qui e non al fronte?» Michele domandò di rimando, con semplicità: «Quale fronte?»; e, strano a dirsi, il tenente questa volta non disse nulla, si limitò a lanciargli una brutta occhiata e poi ritornò al suo piatto.

Ma non era contento, si vedeva lontano un miglio che si rendeva conto di avere interno a sé persone se non proprio ostili, per lo meno non amiche. Così, tutto ad un tratto, lasciò stare Michele che forse non gli sembrava abbastanza Impaurito e attaccò di nuovo l'avvocato. «Caro signor avvocato, — disse di punto in bianco indicando la tavola — lei nuota nell'abbondanza, mentre, in generale, tutti qui intorno crepano di fame... e come ha fatto lei a procurarsi tanta buona roba?». L'avvocato e sua madre si scambiarono un'occhiata significativa, spaurita e apprensiva quella della madre, rassicurante quella dell'avvocato, quindi quest'ultimo disse: «Le assicuro che gli altri giorni non mangiamo davvero in questo modo... l'abbiamo fatto per fare onore a lei». Il tenente tacque un momento e quindi domandò: «Lei è pro­prietario, qui, in questa valle, non è vero?» «Sì, in certo modo, sì». «In certo modo? Mi dicono che lei possiede metà della valle». «Oh, no» caro tenente, chi gliel'ha detto doveva essere un bugiardo o un invidioso o tutti e due... posseggo alcuni giardini... noi chiamiamo giardini questi bei boschetti di aranci». «Mi dicono che questi cosiddetti giardini rendono moltissimo... lei è un uomo ricco». «Beh, signor tenente, proprio ricco, no... vivo del mio». «E lei sa come vivono i suoi contadini, qui intorno?» L'avvocato che ormai aveva capito la piega che aveva preso il discorso, rispose con dignità: «Vivono bene... qui in questa valle sono tra quelli che vivono meglio». Il tenente che in quel momento, stava tagliandosi un pezzo di pollo, disse senza sorridere, puntando il coltello in direzione dell'avvocato: «Se questi vivono bene, figuriamoci come vivono quelli che vivono male. Li ho visti i suoi contadini come vivono. Vivono come bestie, in case che sembrano stalle, mangiando come bestie e vestendosi di stracci. Nessun contadino, in Germania, vive così. Noi in Germania ci vergogneremmo di far vivere i nostri contadini in questo modo». L'avvocato, anche per far piacere alla madre che lo saettava di sguardi supplichevoli come per dire: «Non dargli spago, sta' zitto», si strinse nelle spalle e non disse nulla. Il tenente però insistette: «Che dice, caro avvocato, di tutto questo, che ha da rispondermi?» L'avvocato questa volta disse: «Sono.loro che vogliono vivere in questo modo, gliel'assicuro, tenente... lei non li conosce». Ma il tenente, duro: «No, siete voi, i proprietari, che volete che i contadini vivano in questo modo. Tutto dipende da questo», e si toccò il capo, «dalla testa. Voi siete la testa dell' Italia ed è colpa vostra se i contadini vivono come bestie». L'avvocato adesso pareva proprio spaventato e mangiava con uno sforzo che si vedeva, facendo con la gola un movimento ad ogni boccone, come i polli quando ingozzano in fretta. La madre aveva un'espressione del tutto smarrita e la vidi, di nascosto, giungere le mani in grembo, sotto la tovaglia: pregava, si raccomandava a Dio. Il tenente proseguì: «Io conoscevo un tempo soltanto alcune città dell'Italia, le più belle, e in queste città non conoscevo che i monumenti. Ma adesso, grazie alla guerra, l'ho conosciuto a fondo il vostro paese, l'ho percorso tutto, in lungo e in largo. E sa lei, egregio avvocato, che cosa le dico? Che voi avete delle differenze tra classe e classe che sono addirittura uno scandalo». L'avvocato rimase zitto; però fece un movimento con le spalle come per dire: «E che posso farci, io?». Il tenente se ne accorse e saltò su: «No, caro signore, la cosa riguarda lei come tutti gli altri che serio come lei, avvocati, ingegneri, medici, professori, intellettuaiì..Noialtri tedeschi, per esempio, siamo rimasti indignati per le differenze enormi che ci sono tra gli ufficiali e i soldati italiani: gli ufficiali sono coperti di galloni, vestono con stoffe speciali, mangiano cibi speciali, hanno in tutto e per tutto un trattamento speciale, privilegiato. I soldati sono vestiti di stracci, mangiano come bestie, sono trattati come bestie. Che ha da dire, caro signor avvocato, su tutto questo?» L'avvocato questa volta parlò: «Ho da dire che sarà anche vero. E che sono il primo a deplorarlo. Ma che posso farci io, da solo?». E l'altro tignoso: «No, caro signore, lei non deve dire questo. La cosa la riguarda direttamente e se lei e tutti coloro che sono come lei volessero veramente che questa situazione cambiasse, ebbene cambierebbe. Lo sa lei perché l'Italia ha perduto la guerra e adesso noialtri tedeschi dobbiamo sprecare dei soldati preziosi sul fronte italiano? Proprio per questa differenza tra i soldati e gli ufficiali, tra il popolo e voialtri signori della classe dirigente. I soldati italiani non combattono perché pensano che questa guerra sia la vostra guerra, non la loro. E vi dimostrano la loro ostilità appunto non combattendo. Che ha da dire, egregio avvocato, su tutto questo?». L'avvocato, forse per la gran stizza, questa volta riuscì a superare la paura e disse: «È vero, questa guerra il popolo non l'ha voluta. Ma neppure io. Questa guerra c'è stata impósta dal governo fascista. E il governo fascista non è il mio governo, di questo lei può stare sicura «Ma l'altro, alzando un poco la voce: «No, caro signore, tròppo comodo. Questo governo è il suo governo». «Il mio governo? Lei vuole scherzare, tenente». La madre intervenne a questo punto: «Francesco, per carità... per l'amor di Dio». Il tenente insistette: «Sì, il suo governo, ne vuole la prova?» «Ma quale prova?». «Io so tutto di lei, caro signore, so per esempio che lei è un antifascista, un liberale. Però, lei, in questa valle, non se la fa con i contadini o gli operai, lei se la fa con il segretario del fascio... ebbene, che ne dice?» L'avvocato si strinse una volta di più nelle spalle: «Intanto non sono antifascista né liberale, io non mi occupo di politica e bado ai fatti miei... E poi che c'entra, con il segretario del fascio io ci andavo a scuola, siamo persine un po' parenti per via di mia sorella che ha sposato un suo cugino... voialtri tedeschi certe cose non potete capirle... Non conoscete abbastanza bene l'Italia». «No, caro signore, questa è una prova bella e buona... voialtri fascisti e antifascisti siete tutti legati gli uni agli altri perché siete tutti quanti della stéssa classe... e questo governo è il govèrno di tutti quanti voialtri fascisti e antifascisti perché è il governo della vostra classe... eh, caro signore, i fatti parlano e il resto sono chiacchiere». Il sudore adesso imperlava la fronte all'avvocato, benché nella baracca ci facesse freddo; la madre, non sapendo più che fare, si era alzata, tutta smarrita, dicendo con voce tremante: «Adesso vado a preparare un buon caffè» ed era scomparsa in cucina. Il tenente, intanto, diceva: «Io non sono come la maggior parte dei miei compatrioti che sono tanto stupidi con voialtri italiani... loro amano l'Italia perché ci sono tanti bei monumenti e perché i paesaggi dell'Italia sono i più belli del mondo... oppure trovano un italiano che parla tedesco e si commuovono sentendo parlare la loro lingua... oppure ancora gli viene offerto un buon pranzo come lei oggi 1' ha offerto a me e diventano amici sulla bottiglia. Io non sono come questi tedeschi stupidi e ingenui, lo vedo le cose come stanno e gliele dico in faccia, caro signore». Allora, non so perché, forse perché quel povero avvocato mi faceva compassione, dissi ad un tratto, quasi senza riflettere: «Lei lo sa perché l'avvocato le ha offerto questo pranzo?» «Perché?». «Perché voialtri tedeschi fate paura a tutti e tutti hanno paura di voi e allora lui ha cercato di rabbonirla come si fa appunto con una bestia feroce, dandole qualche cosa di buono da mangiare». Strano a dirsi, lui fece un viso, un istante soltanto, quasi triste e amareggiato: a nessuno, neppure a un tedesco, fa piacere sentirsi dire che fa paura e che la gente è gentile con lui soltanto perché ha paura. L'avvocato, atterrito, cercò di riparare, intervenendo: «Tenente, non dia retta a questa donna... è una persona semplice, certe cose non le capisce». Ma il tenente gli fece cenno di star zitto e domandò: «E perché mai noi tedeschi facciamo paura? Non siamo uomini come tutti gli altri?» Io, ormai lanciata, stavo per rispondergli: «No, un uomo che è un uomo, ossia un cristiano, non tr



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