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Unità 8

Giovanni Arpino

ISOTTA «PFAFF»

Da diverso tempo, quando tornava a casa e la moglie gli doman­dava:

«Come è andata oggi?», Placido poteva rispondere, con un sospiro di sollievo: "Benissimo. Ah, questa sì che è vita..."

Placido era un sarto di gran valore. O meglio, era stato un sarto, e poi, sfruttando gli accorgimenti della tecnica, era diventato un grande imprenditore. Il suo laboratorio contava un centinaio di macchine per cucire, le sue forniture erano apprezzate dai grandi magazzini, dagli empori di Stato e persino da certi lussuosi negozi 'di moda. Perché jìeì suo lavoro Placido sapeva portare invenzione, fantasia, accorgimenti felici, che la produzione in serie distribuiva agli abitanti di tante città. Le sue tute erano sobrie e confortevoli, i suoi paltò erano robusti e di minimo impaccio, le sue camicie erano solide e comode, e certi prodotti di pregio, come le marsine, riuscivano benissimo, risultavano accurate come se fossero state cucite a mano una per una, punto per punto.

— Benissimo, ah, questa sì che è vita... — rispondeva dunque alla quotidiana domanda della moglie Placido, e si stendeva in poltrona per un meritato riposo. La sua soddisfazione era veramente grande, e solida, non l'avrebbe smossa un'eruzione vulcanica. La ragione era semplice: la General Electrics aveva due mesi prima finalmente aderito alla sua richiesta e gli aveva fornito un servo-macchina, volgarmente chiamato robot, con cui Placido aveva sostituito la massa intera dei suoi lavoranti.

Era stato un gran giorno, quello. Il robot — che più tardi in famiglia Placido avrebbe nominato semplicemente «lui» — appenauscito dal pacco e montato, s'era messo al lavoro. In pochi minuti aveva spazzato i locali, riordinato le cento macchine per cucire, rinnovato la disposizione delle pezze di stoffa, di tela, di organza, prima accumulate in modo poco razionale. I lavoranti se n' erano andati tristi. Avrebbero sì ricevuto un adeguato indennizzo e una pensione, tuttavia non un sorriso gli era salito sulle labbra.

Abbandonare il posto di lavoro dopo tanti anni e tanti aghi spuntati, tanti chilometri di tela cucita, fa sempre tristezza. Per un attimo persino l'ingegnoso, dinamico e in fondo buono Placido s'era sentito commosso.

Ma subito era rimasto affascinato dall'efficienza di «lui». Il servo-macchina al lavoro era uno spettacolo. I fili si infilavano negli aghi con precisione, i dischi di regolazione giravano perfettamente, i motorini elettrici ronzavano in perfetto accordo, da una macchina all'altra, ubbidienti al ritmo imposto da «lui», che, solerte, veloce, attento, sensibile, si spostava in silenzio da un apparecchio all'altro, qua sostituiva una bobina, là correggeva un infilatore automatico, più avanti sbloccava un filo manovrando un crochet rotativo. Il laboratorio era diventato una fucina scientifica, in cui ogni rumore si fondeva con gli altri in un unico scandire, e dove il lavoro appariva non più fatica, ma operazione perfetta, pulitissima, persino immateriale.

Per diversi giorni Placido era rimasto a bocca aperta, sulla porta, a guardare; e ricordava il parlottio dei lavoranti, i fili spàrsi per terra, i triangolini di stoffa eliminata dalle forbici. Ora, tutto era lindo, esatto, come in una sala chirurgica. E perché commuoversi, allora?, pensava Placido. Chi si commuove vedendo lavorare una falce, un martello, vedendo piegarsi un chiodo o sgonfiarsi una gomma? L'uomo fa pena, quando tanto deve faticare, non gli strumenti. E così, per premiarsi, Placido andava alle corse dei cavalli.

Oltretutto aveva realizzato anche qualche soldino in più, e di nascosto dalla moglie: aveva infatti rivenduto come rottame le cento piastre applicate alle macchine per cucire, piastre che avevano servito, fino a poco tempo prima, come base per il braccio dei lavoranti. Giocava, all'ippodromo — tutto vestito a quadretti bianchi e nocciola, in un abito che s'era confezionato da solo: perché, finito come lavoratore, era tornato sarto per hobby — e, anche se perdeva, non rinunciava al buonumore.

Era il primo grande imprenditore nel suo ramo che aveva ottenuto il pregiatissimo, rarissimo, «pezzo unico» servomacchina. La concorrenza avrebbe dovuto decuplicare i turni di lavoro, da Hong-Kong a Londra tutti i sarti piangevano e odiavano pensando a lui. E Placido appoggiato coi gomiti allo steccato dell'ippod-romo, studiando i cavalli buoni, fumando un grosso sigaro, si sentiva felice. In un anno avrebbe recuperato la favolosa cifra spesa per «lui» e sarebbe stato sempre più ricco, sempre più felice, sempre più garantito contro l'avvenire.

Evidentemente Placido non conosceva l'antico detto cinese che suona all'incirca così: «Quando sei molto contento, atteggia la faccia a tristezza, piangi, solleva le mani al cielo. Così la fortuna non ti vede privilegiato e non ti punisce mandandoti addosso qualche cattiva sorpresa». Naturalmente in cinese il detto è assai più corto, ma Placido, fosse corto o lungo, non l'aveva mai sentito, e portava dunque la sua faccia contenta dappertutto, dai caffè al cinema, agli ippodromi, sentendosi ormai un signore della terra. Fu forse in quei giorni che la fortuna — ma la si dovrà proprio chiamare solo così? — decise di ammonirlo.

Una mattina, infatti, tra la posta solita, Placido trovò una lettera. Era di un cliente, un grosso, grossissimo cliente, che protestava. In due righe lo avvertiva che «lo scherzo di quelle tute» gli era parso intollerabile e annunciava di aver respinto tre autocarri carichi di «quella roba», assolutamente mutile.

Placido corse al laboratorio, spiò dall'entrata. Tutto procedeva regolarmente, giacche, pantaloni, camicie, marsine, tute, pigiami e cappotti filavano nelle macchine, «lui» continuava a sorvegliare i lavori spostando appéna qua e là i suoi rotondi occhi di ghisa e vetro verde.

— Che ci sarà mai in quelle tute? — si domandò preoccupato Placido. E nervosamente aspettò sul marciapiedi i camion di ritorno. Quando arrivarono e subito, precipitatosi a strappare l'involucro di un pacco, potè vedere, per poco non svenne.

«Al suo adorato, la per sempre sua Isotta», stava scritto sul lato sinistro di ogni tuta, sopra il taschino di semplice tela blu. E la scritta, graziosamente istoriata a zig-zag, si sviluppava tutt'attorno come un ramo fiorito, racchiusa dentro un cuore di filo rosso, tenerissimo, a punti incrociati. Ripresosi, Placido si precipitò nel laboratorio. Chi poteva aver scherzato in quel modo? Chi l'aveva compromesso con un cliente grosso, grossissimo, che ovviamente non avrebbe mai potuto vestire i suoi operai con tute tanto frivole? Chi era la maledetta Isotta? Guardò, spiò, disse brutte parole, ma in quel perfettissimo laboratorio chi poteva scomporsi? Non certo «lui», sempre all'erta coi suoi verdi occhi di vetro e ghisa, non certo le macchine, allineate, ubbidienti, bravissime, lucide nelle loro vernici.

Disperato, col mal di testa, Placido quel giorno tornò a casa prima del solito e quando la moglie aprì bocca per domandargli: «Come è andata oggi, caro?», per poco non la insolentì. Decise di confidarle ogni cosa, e anche la donna rimase sbalordita. A tavola, e poi seduti nelle poltrone davanti alle tazzine del caffè, si scambiarono mille congetture: un concorrente di Hong-Kong gli aveva forse giocato un terribile scherzo per sabotarlo? O forse una spia londinese, dell'unione dei grandi sarti inglesi, aveva alterato qualche meccanismo del servo-macchina? O c'era — ma sarebbe stato davvero incredibile: chi poteva mai dubitare degli scienziati della General Electrics! — un difetto in «lui»? E se così era, come scoprirlo, correggerlo in tempo?

Placido decise di telegrafare subito alla General Electrics, e dovette stendere una lettera piuttosto pesante perché due giorni dopo un gruppo di scienziati e tecnici bussarono alla sua porta. Seguiti dal loro cliente, si recarono al magazzino, smontarono il robot pezzo a pezzo, lo revisionarono completamente. Era perfetto. Sdegnati, scienziati e tecnici se ne andarono, dopo aver fatto firmare al povero Placido una lettera di scuse che tutti i giornali avrebbero pubblicato il giorno seguente..

Cominciò per Placido un periodo di notti insonni. Era a letto e pensava: sono qui, e forse là dentro c'è qualcuno che mi sta rovinando. Mentre cerco invano di dormire, là un nemico mi distrugge il lavoro e le ambizioni di tanti anni. Povero me! Svelto, corriamo a vedere. Si alzava e filava come un pazzo al laboratorio, che aveva fatto circondare da guardie armate e sbаrrato con chiavistelli e catenacci. Aperta l'ultima serratura, gli si scioglieva per un momento il terrore: tutto procedeva normalmente, i motori ronzavano, il filo si dipanava veloce da mille rocchetti, giacche e pantaloni e cappotti s'ammucchiavano, «lui», fedele e perfetto, andava su e giù come sempre.

Se ne tornava a letto, ma la paura non gli passava. Finché ий mattino sentì bussare alla porta. Era un cliente, urlava. Per poco, quando gli fu aperto, non prese a pugni il padrone di casa.

— Ecco qui, — sbraitava come un ossesso agitando la giacca di un pigiama: — Volete rovinarmi? Mia moglie miinaccia il suicidio. Prima mi ha dato un pugno in un occhio, adesso ha telefonato a sua madre, e minaccia il suicidio. Ma io vi denuncio! Un miliardo di dollari vi chiederò per indennizzo!

Placido guardava la giacca.

Vicino al taschino portava la scritta: «Al suo adorato, la per sempre sua Isotta. Ma perché non mi corrispondi? Amore, non respingermi! ancora tua, Isotta Р.».

Un'intera lettera d'amore, un completo messaggio sul pigiama di un illustre commendatore, che ora chiedeva un miliardo di dollari! Era un disastro, per il povero Placido.

Il commendatore se n'era andato dopo aver sbattuto la giacca sul muso del sarto, che ora non riusciva neppure più a pensare. Stava lì, con il tessuto a strisce tra le mani a guardare la scritta, zig-zagante, rossa e blu, tutta fiorita di foglioline, ricamini, ornati

o svolazzi.

Ma «lui», cosa faceva? Non s'accorgeva degli errori, non avvertiva la presenza di un estraneo nel laboratorio? Ma che razza di impianto radar aveva addosso? Ma che scimunito di robot era? Neppure il cane da guardia sapeva fare?

Pur sospettando che in «lui» ci fosse qualcosa di molto strano, Placido non osò scrivere una seconda lettera alla General Electrics. In troppi volevano già essere rimborsati, ci mancava solo più una denuncia per calunnia e vilipendio della scienza? Placido decise di investigare da solo.

Per sere e sefe, giorni e giorni, non uscì più dal laboratorio. Piazzato all'ingresso del magazzino, dove confluivano gli abiti finiti, velocemente li esaminava.

Per una settimana tutto fu regolare. O meglio gli parve regolare: perché altre lettere e telefonate e visite minacciose gli piovvero addosso. I ricami di amore non apparsi sugli abiti s'erano andati a nascondere sotto un risvolto, in una tasca, lungo una fodera. Isotta Р., Isotta Р., Isotta Р., con fiorellini, svolazzi, ricami vari, con richiami tenerissimi e sempre più svenevoli: Placido se li ritrovò a mucchi tra la mercé respinta, rivoltando un indumento dopo l'altro.

— Devi esaminarli uno per uno, dentro e fuori, — gli suggerì la moglie.

— E come faccio? quel maledetto ne sforna diecimila all'ora — si disperava Placido: — Come faccio? Tomo come ero agli inizi, quando avevo un solo lavorante e gli contavo gli spilli a uno a uno?

Tornò ad appostarsi. Ma nulla vedeva. «Lui» ronzava su e giù, le macchine docili gli ubbidivano, la mercé invendibile s'ammuc­chiava nei magazzini.

Come poteva fare? Non era così veloce da spostarsi da una macchina all'altra, e inoltre ognuna lavorava un pezzo diverso. Non poteva che seguire i gesti di «lui». Il quale, però, si aggirava

per il laboratorio senza tradire nessun movimento diverso dal solito. Puntuale e preciso, un fulmine di coordinazione benché risultasse goffo all'aspetto, «lui» dominava, coi suoi impianti radar, le sue cellule fotoelettriche, i suoi congegni ronzanti e perennemente vigili.

Dimagrito, con lo stomaco dolorante, la barba lunga, la disperazione che gli aveva infossato gli occhi, Placido non sapeva cosa inventare, dove posare lo sguardo.

La moglie, all'ora dei pasti, veniva a trovarlo con un gavettino di minestra e una frittata tra due pezzi di pane, come ai vecchi tempi.

Mangiando e lamentandosi, Placido non staccava gli occhi dalle macchine, da «lui».

— Stacca la corrente, almeno risparmierai la luce, — gli diceva la moglie per consolarlo un poco.

E lui, tanto per fare qualcosa, fermava il lavoro di cinquanta macchine su cento.

Fu così che scopri, tra gli abiti rimasti a metà, in quei giórni, 1'assenza della famigerata sigla «Isotta».

Dunque era tra le macchine che s'era insediato il nemico! Tra le sue oneste e laboriose macchine per cucire s'era intrufolato qualche aggeggio, certo opera dei sarti di Londra e di Hong-Kong, che avevano sostituito un disco o chissà cosa con un cifrario talmente offensivo!

Riprovò con le cinquanta macchine lasciate a riposo, e subito «Isotta P.» riprese a lanciare messaggi amorosi.

Finalmente aveva scoperto un indizio, quasi una prova.

Benché provato dalla tensione dell'insonnia, si lanciò in nuove perlustrazioni. Visitò le cinquanta macchine a una a una. Macché! Erano perfette, nessun elemento estraneo risultava infilato nei loro complessi meccanismi.

Era disperato.

Inoltre, come poteva far proseguire il lavoro se quel maledetto «lui» gli aveva talmente pianificato la produzione che con solo cinquanta macchine non avrebbe mai messo insieme un intero vestito, ma unicamente mezzi pantaloni, taschini, un quarto di giacche? Se voleva scoprire qualcosa doveva correre il rischio di rovinarsi del tutto. Lasciare cioè in funzione le cinquanta macchine, tra le quali si nascondeva il nemico, e riempire il magazzino di fette inutilizzabili di indumenti.

Doveva farlo.

In miseria, si giurò, ma sapendo la verità, dopo essermi almeno vendicato.

Ridata la corrente.alle cinquanta macchine così micidiali ritornò dunque all'agguato.

Dapprima non vide niente, come al solito, poi scoprì Che i movimenti di «lui» s'erano fatti più lenti, meno veloci.

— Ma si capisce, — spiegò alla moglie: — Si trova frastonato. Gli abbiamo ridotto il lavoro a metà.

— Prima però quella cosa lì non la faceva, — osservò la donna.

— Che cosa? La donna indicò.

«Lui», raggiunta una macchina, l'accarezzava lentamente sul dorso ricurvo con la sua mano a uncino.

— Eh? — si stupì Placido con tanto d'occhi.

Cautamente si avvicinò e li vide.

Quella era «Isotta Р.».

La moderna Pfaff fremeva tutta sotto la carezza di «lui» e migliaia di cuori trafitti, di uccellini svolazzanti, di ricami rossi e blu, a zig-zag, a bordure incrociate, a ondulazioni in due, tre, sei colori, uscivano di sotto l'ago, circondando parole d'amore, frasi tenere, punti esclamativi e interrogativi.

— Ah! —urlò Placido, quasi impazzendo: —Adesso vi ho colti! Adesso vi aggiusto io!

E già stava per mollare un pugno, alla Pfaff o a «lui», quando sua moglie gli afferrò il braccio.

— Sei matto? — gli disse: — Vuoi romperti le ossa?

E lo trascinò via.

Dal fondo dello stanzone ancora guardarono.

— Adesso gli tolgo la corrente, — sibilò velenosamente Placido.

— Un momento ancora, poverini, — gli disse: — Guardali, guardali...

L'uncino di «lui» sempre più delicatamente lisciava il dorso lucido di Isotta Pfaff.

— Li voglio vedere io quelli della General Electrics, — sma­niava Placido: — Venti miliardi di danni gli chiedo! In galera! In manicomio li mando! Scienziati del cavolo!

— Ma come sarà successo? — domandò la consorte.

— Ah, — si riprese Placido: — Ce lo dovranno spiegare loro. Con tutti quei radar, quei fili, quelle porcherie, chissà in che contatto li hanno messi... Ma mi sentiranno.

— E se diranno che è stata lei a sedurlo? — si turbò la donna.

Placido si lasciò andare contro il muro, affranto.

— Già — rispose: — Non ci avevo pensato. Oh, Dio mio, sento che ci risiamo. Ricomincia, tutto daccapo! Gli assegni familiari, l'aumento, i giorni di ferie pagati, gli scioperi... Oh, poveri noi, non la finiremo più...

Adattato da G. Arpino

ESERCIZI DI VOCABOLARIO

 

1. Imparate le parole e i nessi di parole:

sfruttare gli accorgimenti della tecnica использовать достиже­ния техники

grande imprenditore крупный предприниматель

macchina per cucire швейная машинка

macchina da scrivere пишущая машинка

macchina utensile станок

fornitura поставка, снабжение

fornire обеспечивать, постав­лять

emporio di stato государственный универмаг

portare invenzione e fantasia nel lavoro вносить выдумку и фан­тазию в свой труд (творчески подходить к своей работе)

produzione in serie серийное производство

prodotti di pregio вещи улучшен­ного качества

aderire alla richiesta пойти на­встречу пожеланиям (клиента)

opprimere qd угнетать, притес­нять кого-либо

piegare un chiodo согнуть гвоздь

sgonfiarsi выпустить воздух (о надутых вещах)

rottame лом (ломаные изделия)

decuplicare i turni в 10 раз увели­чить смены

grosso cliente важный клиент

sorvegliare i lavori следить за работой

occhio di vetro e ghisa глаз из стекла и чугуна

alterare un meccanismo испор­тить (повредить) механизм

montare un robot монтировать робот

smontare il robot демонтировать робот

sbarrare la porta con chiavistelli e catenacci запереть дверь на замки и цепочки

rocchetto катушка

riordinare le macchine изменить размещение машин

la disposizione delle pezze di stoffa расположение кусков ткани

infilare i fili negli aghi вдевать нитки в иголки

disco di regolazione регулирую­щий диск

il ronzare del motore жужжание (шум) мотора

apparecchio аппарат

fucina scientifica кузница науки

chiedere un indennizzo требовать компенсации

infilatore automatico автомат, вдевающий нитки в иголки

impianto radar радарная уста­новка

risvolto отворот, лацкан

uncino крючок

cellula fotoelettrica фотоэлемент

congegno ronzante жужжащий механизм

fodera подкладка

staccare la corrente отключить ток

presa di corrente вилка, розетка

togliere la corrente отключить электричество

assegno famigliare пособие на семью

giorno di ferie день отпуска

ferie pagate оплачиваемый от­пуск

2. Traducete in russo:

l' industria pesante, l'industria leggera, l'industria metallmeccanica, l'edilizia, l'industria bellica, l'industria chimica, l'industria automobilistica, l'industria alimentare, generi di largo consumo,

i paesi economicamente sviluppati, i paesi sottosviluppati, i paesi in via di sviluppo, l'aumento del rendimento, il basso salario.

3. Come si dice in italiano?

предприниматель, владелец заводов; текстильное пред­приятие, машиностроительный завод, автомобильный завод, химические предприятия, пищевые предприятия; швейная машинка; серийное производство; поставщик; поставлять товары; орудия и средства производства; планировать производство; получать доход.

4. Fate delle frasi in cui sia evidente la differenza di significato del seguenti sinonimi:

salario, retribuzione, pagamento, paga, borsa, assegno famigliare, rimborso, indennizzo.

5. Trovate una traduzione adeguata ai termini:

profitto, sopraprofitto, rendimento del lavoro, sovraprodu-zione, costo di produzione, lavoro a cottimo, plusvalore.

6. Fate dei derivati nominali e verbali del verbo fornire.

7. Componete delle frasi in cui entrino i verbi, i sostantivi e gli aggettivi della stessa radice:

svolgere, svolta, svolgimento; attuare, attuazione, atto; circolare, circolazione, circolo; trattare, trattamento, tratto; comunicare, comunicazione, comunicato; distinguere, distinzione, distinto, distintivo; tentare, tentativo, attentato, tentazione; impegnare, impegno, impegnativo.

8.Traducete in italiano quanto segue servendovi del verbo godere:

пользоваться плодами труда, пользоваться успехом, любоваться природой, наслаждаться жизнью.

9. Traducete in russo:

far fronte alle difficoltà, essere di fronte a un fenomeno nuovo, avere una bella fronte alta, andare al fronte, un fronte unico.

10. Traducete in russo:

mettere in chiaro un problema, una stanza chiara, il chiaro dell'uovo, una risposta chiara, mettere in rilievo, un fatto di rilievo, conseguenze di rilievo.:

11. Traducete in italiano:

повышать производительность труда, высокая произво­дительность труда, повышать урожайность; предметы широкого потребления, продукты потребления, продукты питания; рост потребления; процесс инфляции, беспрерыв­ный процесс инфляции; занятость рабочей силы, подвиж­ная шкала заработной платы, уровень заработной платы, сдельная оплата труда, почасовая оплата; передовыe методы труда; глубокие противоречия, внутренние противоречия, разрыв между высокими прибылями и низкой заработной платой; развивающиеся страны, развитые в экономическом отношении страны; международные соглашения; преступ­ный сговор, вступить в сговор, состоять в заговоре; заня­тость рабочей силы, неполная занятость.

12. а) Che cosa si fa con:

una macchina da cucire, una macchina tipografica, una macchina da scrivere, una macchina elettrica (Dinamo), una macchina da caffè, una macchina teatrale, una macchina pneumatica, una macchina di compressione, una macchina utensile, una macchina acceleratrice, una macchina calcolatrice, i una macchina (calcolatrice) elettronica, una macchina cine­matografica, una macchina fotografica, una macchina stereo­scopica.

b) Come si dice in italiano:

станок, электронная машина, электронно-счетное устройство, ускоритель, генератор, стереоскопическая машина, киноаппарат, фотоаппарат, механизм сцены, швейная машинка, динамомашина, легковая машина, компрессор, пневматические машины, токарный станок, фрезерный станок, рубанок, пила, молоток, плоскогубцы, топор, отвертка, гайка, винт, автоматическая линия.

13. а) Fate delle frasi con i nessi di parole seguenti:

cognizioni tecniche, scuole tecniche, l'istituto tecnico, la scuola tecnica superiore, il linguaggio tecnico, accorgimenti della tecnica, gli ultimi ritrovati della tecnica; tecnica di radar, la tècnica elettronica, la tecnica di sicurezza, la tecnica moderna, i tecnici di una fabbrica; i tecnici di un teatro, tecnico d'aeronautica, tecnico collaudatore, capo tecnico.

b) Come si dice in italiano:

специалисты, технические работники, механик, старший механик; технический прогресс, техническая помощь; специальная терминология; новейшие достижения техни­ки; технические подробности; радарная техника, электрон­ная техника, военная техника; техническое училище, тех­никум; специальные познания.



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