II. A proposito della traduzione 
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II. A proposito della traduzione



 

Nel presentare l’argomento del Libro Rosso come una storia che va letta dalla gente di oggi, l’intero quadro linguistico и stato tradotto per quanto possibile in termini attuali. Solo gli idiomi diversi dalla Lingua Corrente sono stati lasciati nella loro forma originale, ma essi appaiono per lo piщ in nomi di luoghi e di persone.

La Lingua Corrente, essendo il linguaggio degli Hobbit e dei loro racconti, и stata trasposta in lingua moderna. In questo processo la differenza fra i diversi tipi di Ovestron si и inevitabilmente affievolita, malgrado i tentativi di rappresentare tali differenze con variazioni nella nostra lingua; ma la divergenza fra pronuncia e idioma della Contea e Ovestron parlato dagli Elfi o dagli alti Uomini di Gondor era assai maggiore di quanto non risulti da questo libro. Gli Hobbit infatti parlavano per lo piщ un dialetto rustico, mentre a Gondor e a Rohan era in uso un linguaggio piщ antico, piщ puto e formule.

Va messa in luce una caratteristica distinzione, la quale и sovente di grande importanza, ma si и dimostrata quasi impossibile da rendere nella nostra lingua. L’Ovestron distingueva infatti i pronomi della seconda e terza persona (sia singolare che plurale) in «familiari» e «deferenziali». Una delle caratteristiche della Contea era per l’appunto l’abbandono delle forme deferenziali nella lingua di ogni giorno; la gente dei villaggi, soprattutto del Decumano Ovest, leadoperava ancora, ma come vezzeggiativi. Era questa una delle abitudini alle quali si riferivano gli abitanti di Gondor quando parlavano dello strano linguaggio hobbit. Peregrino Tuc, per esempio, durante i suoi primi giorni di permanenza a Minas Tirith, adoperт le forme familiari nel rivolgersi a gente di ogni rango, compreso Sire Denethor in persona; l’anziano Sovrintendente ne fu probabilmente divertito, ma i suoi servitori rimasero certo stupefatti. Questa grande libertа nell’uso delle forme familiari contribuм sicuramente al diffondersi delle voci circa il rango elevato che Peregrino rivestiva nel proprio paese.

Va osservato che Hobbit come Frodo, e altre persone come Gandalf e Aragorn non usano sempre il medesimo stile, a ragion veduta. Gli Hobbit piщ colti ed eruditi avevano qualche nozione di «linguaggio da libri», come veniva chiamato nella Contea; e inoltre erano assai rapidi nell’annotare e nell’adottare lo strie di coloro che incontravano. Era comunque naturale che la gente che viaggiava molto parlasse piщ o meno adeguandosi alle usanze dei luoghi in cui si trovava, specialmente poi nel caso di uomini come Aragorn che prendevano molta cura nel nascondere la loro origine e i loto affari. Eppure a quei tempi tutti i nemici del Nemico riverivano ciт che era antico, il linguaggio non meno di altre cose, e ne ricavavano un piacere proporzionato al livello delle loro conoscenze. Gli Eldar, essendo maestri nell’arte del parlare, possedevano molti stili, anche se riusciva loro spontaneo parlare gli idiomi che piщ si avvicinavano al loro, che era ancora piщ antico di quello di Gondor. Anche i Nani erano molto abili, e si sapevano adattare facilmente alla compagnia in cui si trovavano, benchй la loro pronuncia sembrasse ad alcuni aspra e gutturale. Ma gli Orchi e i Troll parlavano come capitava, senza alcun amore per le parole e le cose, e la loro lingua era ancora piщ abietta e disgustosa di quanto non risulti dalla mia traduzione. Non penso che qualcuno desideri degli esempi piщ concreti, benchй siano assai facili da trovarsi. Ancor oggi coloro che hanno la mentalitа d’Orchi parlano in una maniera molto simile: tetre ripetizioni piene di odio e di disprezzo, talmente lontane dal bello e dal buono da aver perso ogni valore verbale salvo per coloro che considerano forte e deciso solo ciт che и squallido.

Questo tipo di traduzione и frequente, in quanto inevitabile in ogni racconto che si riferisca al passato; и assai raro che proceda oltre. Eppure io non mi sono fermato qui: ho tradotto anche i nomi Ovestron a seconda del loro significato. In questo libro, quando si trovano nomi o titoli nella nostra lingua, significa che all’epoca queinomi erano frequenti nella Lingua Corrente, e venivano adoperati oltre a quelli originali (di solito in idiomi elfici), o in loro vece.

I nomi in Ovestron erano per la maggior parte traduzioni di nomi arcaici: come Gran Burrone, Argentaroggia, Rivalunga, il Nemico, la Torre Oscura. Alcuni differivano leggermente nel significato: Monte Fato per Orodruin = montagna incandescente, o Bosco Atro per Taur e-Ndaedelos = foresta della grande paura. Alcuni erano alterazioni di nomi elfici: ad esempio Luhun e Brandivino derivavano da Lhыn e Baranduin.

Questo modo di procedere va forse giustificato. Mi sembrava che presentare tutti i nomi nelle forme originali avrebbe resa oscura la comprensione di un aspetto della vita di allora, che invece era assai chiaro agli occhi degli Hobbit (il cui punto di vista intendevo soprattutto conservare): il contrasto fra una lingua molto diffusa che per loro era consueta come l’Italiano o l’Inglese lo sono per noi, e gli ultimi residui di idiomi molto piщ antichi e nobili. Se avessi semplicemente trascritto tutti i nomi, essi sarebbero apparsi al lettore moderno egualmente remoti ed incomprensibili: ad esempio, se il nome elfico Imladris e la sua traduzione in Ovestron Karningul fossero stati ambedue lasciati immutati. Ma chiamare Gran Burrone Imladris era come parlare oggi di Winchester chiamandolo Camelot, con la differenza che l’identitа fra i due era certa, pur vivendo a Gran Burrone un sire di fama assai superiore a quella di cui godrebbe oggi Arturo, se fosse ancora re a Winchester.

Il nome della Contea (Sыza) e di tutti gli altri luoghi abitati dagli Hobbit sono stati quindi italianizzati, cosa alquanto facile, poichй tali nomi erano di solito composti di elementi simili a quelli che troviamo ancor oggi nei toponimi italiani: sia parole frequenti come «colle» o «campo» o suffissi del tipo di «-poli», «-landia». Alcuni invece, come giа notato, derivavano da antichi vocaboli hobbit ormai fuori uso.

Quanto ai nomi di persone, quelli in uso nella Contea e a Brea erano assai particolari per quei tempi, tanto piщ che da alcuni secoli era sorta la strana abitudine di tramandare nomi ad intere famiglie. La maggior parte di questi cognomi aveva ovvi significati (poichй derivavano da soprannomi scherzosi, o da toponimi o, specialmente a Brea, da nomi di alberi e piante). Oltre a questi, rimaneva perт un paio di nomi piщ antichi il cui significato era andato smarrito, e che io ho semplicemente trasposto foneticamente come Tuc invece di Tыk o Boffin per Bophin.

Ho trattato i nomi di persona, per quanto possibile, nel medesimo modo. Alle bambine, gli Hobbit erano soliti dare nomi di fiori o di gemme. Ai maschi, invece, nomi privi del tutto di significato; di questo tipo erano altresм alcuni nomi femminili. Vi sono molte inevitabili ma casuali rassomiglianze con nomi di oggi, come Otto, Odo, Drogo, Dora, Cora e simili. Ho conservato questi nomi, pur adattandoli alla nostra lingua, alterandone cioи le finali, dato che per gli Hobbit a indicava il maschile e o ed e erano femminili.

In alcune famiglie piщ antiche, e specialmente in quelle originariamente Paloidi come i Tuc e i Bolgeri, vigeva invece l’abitudine di dare nomi altisonanti. Poichй la maggior parte di questi sembrano tratti da arcaiche leggende sia di Uomini che di Hobbit, e, pur essendo per gli Hobbit del tutto privi di significato, rassomigliano ai nomi degli Uomini della valle dell’Anduin o del Mark, ho pensato di tradurli con quegli antichi nomi di origine franca e gotica che ancor oggi si adoperano o si leggono. In questo modo sono riuscito almeno a conservare il contrasto sovente comico fra nomi di persona e cognomi, contrasto di cui gli Hobbit stessi erano perfettamente consci. Nomi d’origine classica erano poco frequenti; gli equivalenti piщ prossimi al Latino e al Greco per gli eruditi della Contea erano gli idiomi elfici, che gli Hobbit adoperavano assai di rado nella loro nomenclatura. Infatti, pochi di essi conoscevano quello che chiamavano «il linguaggio dei re».

I nomi degli abitanti della Terra di Buck differivano da quelli del resto della Contea. La gente delle Paludi e i loro discendenti installatisi al di lа del Brandivino erano assai bizzarri. Senza dubbio, ereditarono dall’antico linguaggio degli Sturoi meridionali gran parte dei loro stranissimi nomi, che ho di solito lasciati immutati, poichй se oggi ci sembrano curiosi, allora lo erano altrettanto. Avevano uno stile vagamente «celtico».

Poichй la sopravvivenza di tracce degli antichi idiomi degli Sturoi e degli Uomini di Brea rassomiglia al perdurare di elementi celtici in Inglese, ho qualche volta imitato questa lingua nella mia traduzione. Brea, Arceto, Bosco Cet sono modellati su arcaiche nomenclature britanniche. Un solo nome di persona и stato alterato in questo senso. Meriadoc, infatti, и stato scelto proprio per il fatto che il nome abbreviato di questo personaggio, Kali, significava in Ovestron «allegro, gaio» pur essendo di fatto un troncamento del nome Kalimac, un vocabolo della Terra di Buck ormai privo di significato.

Non ho adoperato nelle mie trasposizioni alcun nome di origine ebraica o simile, poichй non vi и nulla nei nomi Hobbit che possa corrispondere a questo elemento che appare nei nostri nomi. I nomi brevi come Sam, Tom, Tim, Mat erano frequenti, in quanto abbreviazioni di veri e propri nomi Hobbit come Tolma, Tomba, Matta e simili. Ma i veri nomi di Sam e di suo padre Ham erano Ban e Ran, in quanto troncamenti di Banazir e Ranugad, che in origine erano soprannomi significanti «semplicione» e «casalingo», ed erano poi caduti in disuso rimanendo soltanto come nomi propri in alcune famiglie.

Essendomi spinto tanto oltre nel mio intento di modernizzare e di rendere familiari i nomi e il linguaggio degli Hobbit, mi sono trovato coinvolto in un ulteriore procedimento. I linguaggi degli Uomini imparentati con l’Ovestron dovevano a mio parere essere tradotti sottolineando la stretta parentela con la nostra lingua. Ho quindi reso l’idioma di Rohan simile ad una lingua moderna nella fase arcaica, poichй era abbastanza vicino alla Lingua Corrente e strettamente collegato all’antica lingua degli Hobbit settentrionali, e simile in qualche modo all’arcaico Ovestron. Nel Libro Rosso si legge ripetutamente che all’udire l’idioma di Rohan gli Hobbit riconoscevano molte parole e sentivano una notevole affinitа con la loro propria lingua, per cui mi sembrava assurdo lasciare nomi e parole dei Rohirrim in uno stile del tutto incomprensibile.

In parecchi casi ho modernizzato la forma dei toponimi di Rohan, come Dunclivo e Acquaneve, ma non sono stato costante, poichй ho seguito l’esempio degli Hobbit. Essi alteravano i nomi a seconda di come li udivano, e se erano composti di elementi che riconoscevano o che rassomigliavano a nomi di luoghi della Contea; ma per lo piщ li lasciavano immutati, come ho fatto io con Edoras = le corti.

Il linguaggio ancor piщ nordico della Valle appare in questo libro esclusivamente nei nomi dei Nani di quella regione, i quali adoperavano la lingua degli Uomini di quelle zone e vi coniavano i loro nomi «esterni». Questa ormai и una stirpe di cui narrano soltanto le leggende popolari e le filastrocche per bambini; ma nella Terza Era risplendeva ancora il bagliore della loro antica gloria e potenza, anche se un po’ affievolito. Essi sono infatti i discendenti degli antichi Naugrim dei Tempi Remoti, nei cui cuori arde il sacro fuoco di Aluл il Fabbro e la scottante brace del loro lungo odio per gli Elfi, e nelle cui mani vive ancora insuperata un’incredibile abilitа nel lavorare la pietra. La loro dimora si chiamava infatti Phurunargian, che nel loro linguaggio significava «Luogo scavato dai Nani» ed era nome di antica origine. Ma gli Elfi le avevano dato senza alcun amore il nome di Moria: gli Eldar infatti, purcostretti a volte nelle loro aspre guerre contro il Nemico a costruire fortezze sotterranee, non amavano tali dimore. Avevano bisogno di terreni coperti di verde e delle luci del cielo, e Moria nel loro idioma significava Voragine Nera. Ma i Nani l’avevano battezzato Khazad-dыm, Palazzo dei Khazвd, e questo almeno fu un nome che non tennero gelosamente segreto, poichй era il loro vero nome, dato loro da Aulл sin dalle origini sepolte negli abissi del tempo.

Elfi и il termine adoperato per tradurre sia Quendi, «gli oratori», nome dato dagli Alti Elfi all’intera schiatta, sia Eldar, nome delle Tre Stirpi che cercavano il Reame Immortale e che vi giunsero al principio dei Giorni (ad eccezione dei soli Sindar). Questa antica parola era l’unica disponibile, e un tempo era ancora adatta a evocare i ricordi di questo popolo o a incutere negli Uomini il desiderio di emularlo. Ma ormai significa poco, e forse risveglia nella mente di molti fantasie stupide o graziose, ma in ogni caso tanto diverse dagli antichi Quendi quanto lo sono le farfalle dai rapidi falchi… non che alcun Quendi possedesse ali corporali, innaturali per essi come per gli Uomini. Essi erano una razza alta e bella, i Figli del mondo, e fra essi gli Eldar erano come re ormai scomparsi: il Popolo del Grande Viaggio, il Popolo delle Stelle. Erano grandi, dalla pelle chiara e gli occhi grigi, pur avendo capigliature brune, ad eccezione della dorata progenie di Finrod; e nelle loro voci vi erano piщ melodie che in qualsiasi voce umana sinora udita. Erano valorosi, ma la storia di coloro che tornarono in esilio nella Terra di Mezzo fu una triste storia; benchй il loro destino fosse stato in passato unito a quello dei Padri, non и ora uguale a quello degli Uomini. Il loro reame scomparve molto tempo addietro, ed essi ora dimorano oltre i confini del mondo per non tornare mai piщ.

 



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